Laureato in economia alla University of Oregon con master in Digital Marketing and Big Data allo IED, Lorenzo Gessner ha debuttato professionalmente nel 2017 come Data Analyst presso il centro Apple di Austin, in Texas, per poi spostarsi a Milano, dove ha ricoperto - tra il 2018 e il 2019 - il ruolo di Analyst Consultant per Capgemini. Entrato in Universal Music Italy nel 2019 come Data Scientist, Gessner dal marzo del 2022 è il Data & Innovation Manager nello staff della major guidata da Alessandro Massara: operando in campi come NFT, Discord, gaming e VR, ha - come compito - quello di “trovare nuovi modi di sperimentare, promuovere e monetizzare” le opere musicali del repertorio di UMG. Nemmeno un anno fa veniva presentato il progetto Zero Pain, artista virtuale che si segnalò a livello internazionale come uno degli esperimenti più complessi e strutturati sul fronte dell’innovazione digitale legata all’industria discografica. “Zero Pain è un proof of concept, un esperimento ancora in divenire”, spiega Lorenzo Gessner, Data & Innovation Manager presso Universal Music Italia, riprendendo il discorso avviato all’inizio dello scorso dicembre: “Attualmente stiamo ancora costruendo la fan base e definendo l’identità del personaggio. E, soprattutto, creando una serie di contenuti sui quali impostare una futura promozione discografica. Siamo ancora in fase di costruzione, perché questo progetto avrà sbocchi su diversi fronti. In quanto artista virtuale avrà come ambito d’elezione il metaverso, ma l’idea è quello di portarlo nella realtà con featuring con artisti umani”. L’”operazione Zero Pain” va al di là dell’esperimento virtuale, in quanto legata a doppio filo alla phonk, nuovo sottogenere della musica elettronica indicato ormai come caso di scuola di nascita - e fioritura - di una scena nuova di zecca nell’epoca del digitale. “Riguardo la phonk abbiamo osservato un’evoluzione incredibile”, conferma Gessner: “Nel 2022 eravamo gli unici a livello globale, nel gruppo Universal Music, a parlarne. Quest’anno il focus è completamente cambiato, con la nascita di un working group internazionale dedicato al genere e al suo sfruttamento. E’ curioso come una tendenza che in Italia è ancora rimasta appannaggio di una nicchia in altri paesi - come per esempio il Brasile - grazie ai social stia entrando nel mainstream. Grazie a TikTok la playlist di Spotify dedicata in un anno è passata da 600mila a oltre 5 milioni di follower. In questo processo ha avuto un ruolo determinante il conflitto tra Russia e Ucraina: il genere si è sviluppato proprio lì, e grazie ai video postati sui social dal fronte il genere ha conosciuto una prima diffusione massiccia a livello internazionale, fino ad arrivare - e prosperare - dall’altra parte del mondo”. Il lavoro svolto negli uffici di via Crespi, a Milano, ha giocato un ruolo fondamentale nell’attivazione di un team global dedicato alla phonk. “UMG Italia si sta connotando come una realtà innovatrice all’interno delle dinamiche globali del gruppo”, racconta Gessner a proposito di un’evoluzione tanto rapida quanto radicale: “Il mercato italiano fino a qualche anno fa era diverso: venivamo percepiti come un paese fanalino di coda, e potevamo contare su risorse limitate. Oggi, con più risorse e con maggiore maturità, possiamo essere considerati una sorta di laboratorio: rispetto ad altri territori abbiamo la forza e l’agilità per operare come fossimo una start-up. All’estero, specie sui mercati più grossi, tutti sono molto specializzati, ma più autonomi. Noi, lavorando tutti insieme, gomito a gomito, abbiamo una conoscenza a 360 gradi della realtà nella quale operiamo, che ci permette di individuare nuovi trend e svilupparli”. Qual è, nel dettaglio, il lavoro di un data analyst che operi, oggi, in una major? “Il primo approccio che abbiamo nei confronti dei dati è di supporto all’azienda, in primis alle label, alle quali forniamo tool di analisi e report giornalieri”, precisa Gessner: “Poi ci dedichiamo a analisi macro dei mercati considerando tendenze specifiche, e all’elaborazione di nuovi strumenti come dashboard e generatori di report. La mole di dati maggiore - quantificabili in diversi terabyte al giorno - proviene dai DSP, che - di fatto - ormai sono essenzialmente delle data company”. Senza contare, ovviamente, i social. “TikTok resta un incredibile driver per la discovery, ma non sempre ciò che diventa popolare lì riesce anche a sfondare sui DSP”, prosegue Gessner: “Il fatto è che la musica, oggi, può diventare anche meme, nel senso di elemento culturalmente condiviso: le dinamiche di TokTok sono le prime responsabili dell’unione tra frontline e catalogo, perché per la Generazione Z se un brano è culturalmente condiviso acquista rilevanza, poco importa che sia uscito trent’anni fa o ieri. Questo, da parte nostra, comporta un lavoro sui dati importantissimo, che abbraccia contemporaneamente tutto il repertorio a prescindere dalla datazione”. Sarebbe sbagliato, tuttavia, pensare agli uffici di una grande casa discografica nel 2023 come a una sala di controllo di una missione spaziale, con i dati restituiti dalle piattaforme a dettare la linea e una schiera di analisti a decifrare numeri e codici. “Siamo sempre stati abituati a pensare che per consolidare ed espandere le quote di mercato fosse indispensabile puntare sull’incremento delle uscite, ma il nuovo scenario ha messo in crisi questo paradigma: il nostro lavoro, oggi, si è fatto molto più profondo e complicato”, spiega Gessner: “I dati non guidano la discografia: la aiutano. Ed è giusto che sia così, perché l’A&R deve scovare il talento prima che diventi dato. Sul catalogo il discorso è diverso: l’analisi in particolari circostanze può guidare delle strategie commerciali, come nei casi delle tracce resurgent, che tornano in classifica molto tempo dopo la prima pubblicazione. Attenzione, però: la rilevanza culturale della quale si parlava prima non ha una formula matematica. Non esiste una chiave per spiegare certi fenomeni”. Che istantanea restituiscono, i numeri, del mercato globale della musica registrata? “I dati di quest’anno raccontano di un’intensa crescita dei repertori locali, in tutto il mondo: la musica dei territori sta diventando padrona”, dice Gessner: “La prospettiva, nei prossimi anni, è che sempre più repertori locali diventeranno internazionali, come è già accaduto col K-pop, l'afro beat e la musica latina. In questi termini i mercati emergenti, grazie alla massa critica di ascoltatori, diventeranno sempre più importanti: le top 20 global di Spotify che vedremo nei prossimi anni saranno sempre più diversificate, con molti generi e realtà provenienti da più territori. I nuovi scenari, per consacrarsi, dovranno comunque sempre passare dai mercati più grandi: gli Stati Uniti, in virtù del loro primato in quanto a consumer base, resteranno l’unica via per passare dalla nicchia al mainstream globale”. Tuttavia, Gessner tiene a precisare quanto sia “fondamentale saper leggere i dati”. “Alcuni indicatori sono più interessanti di altri, come - per esempio - quelli relativi alle modalità di fruizione” - racconta - “Ci sono stream di particolare rilevanza, come quelli attivi, ovvero avviati per volere diretto dell’utente, più importanti di quelli passivi”. Quello del data manager, nella discografia attuale, è un ruolo tanto strategico quanto delicato. E, soprattutto, inedito, almeno per il settore della musica registrata. “Faccio parte di questo team da quattro anni, durante i quali sono stato testimone di un’evoluzione enorme”, conferma Gessner: “Quando sono arrivato eravamo in sei, oggi siamo in venti. Le mie relazioni si sono ampliate, così come le mie competenze. Dalla semplice analisi dei dati i miei compiti si sono allargati alla scoperta di nuovi trend interessanti sui quali sviluppare progetti più strutturati”. Su che campo si gioca, quindi, la sfida discografica del futuro? Il mercato musicale si sta omologando ad altri comparti commerciali, con i dati a rappresentare la stella polare a discapito del prodotto, che - storicamente - ha sempre distinto l’industria creativa dagli altri segmenti? “Avere un bagaglio musicale, per chi fa il mio lavoro, ha dei pro e dei contro”, conclude Gessner: “In analisi esiste il concetto di bias, ovvero di elementi preesistenti - una sorta di pregiudizi - che ci portano a conclusioni sbagliate. Non disporre di un background musicale può portare a evitare i bias, ma - come accennavo prima - i dati vanno saputi leggere, e per leggerli è indispensabile avere una conoscenza approfondita dell’ecosistema musicale. Fondamentale, per quello che facciamo, è saper spiegare i dati: le analisi che facciamo per alcuni sono rassicuranti, per altri destabilizzanti. Il segreto è saper presentare le analisi nel modo giusto. E restare sempre profondamente curiosi nei confronti delle novità”.