Domenica scorsa, 14 giugno, la catena dei Virgin Megastores ha detto addio anche agli Stati Uniti con la chiusura degli ultimi due punti vendita sopravvissuti, quello di Hollywood e quello newyorkese di Union Square (il più grande negozio di dischi della metropoli). Nel momento di massimo splendore, la Virgin contava ben 23 megastore sparsi sul territorio del paese: poi è arrivata la crisi del mercato discografico, che negli Usa ha obbligato al ritiro anche HMV (nel 2004) e Tower Records (89 punti vendita chiusi nel 2006). Simon Wright, amministratore delegato del Virgin Entertainment Group in Nord America, ha spiegato al New York Times che semplicemente “il modello del grande negozio specializzato in intrattenimento operante su una grande superficie di vendita non è destinato a funzionare in futuro”. “Il megastore è un dinosauro”, ha aggiunto un dipendente, Tony Beliech. “Peccato, perché quel tipo di negozio era anche un luogo di aggregazione, una cosa che manca del tutto all’acquisto di musica on-line”. Negli Stati Uniti, dove resistono da recenti stime almeno duemila negozi indipendenti, dominano oggi grandi magazzini come Wal-Mart, Best Buy e Target, che si contendono la leadership a colpi di esclusive sui dischi di megastar come <a href="http://www.rockol.it/artista/Bruce Springsteen">Bruce Springsteen</a>,<a href="http://www.rockol.it/artista/Guns N’ Roses">Guns N’ Roses</a>,<a href="http://www.rockol.it/artista/Eagles">Eagles</a>,<a href="http://www.rockol.it/artista/AC/DC">AC/DC</a> o <a href="http://www.rockol.it/artista/Pearl Jam">Pearl Jam</a>. I Virgin Megastores sono intanto scomparsi dalla maggior parte dei mercati internazionali (compreso il paese di origine, il Regno Unito, dopo la breve parentesi di Zavvi, vedi <a href= "http://www.rockol.it/news-99348/Londra,-chiude-anche-Zavvi-(ex-Virgin-Megastore)-in-Oxford-Street" target="_blank"class="newsLink">News</a>). Il marchio sopravvive al momento in Francia, Grecia e Giappone.