Secondo Edgar Bronfman Jr., presidente e amministratore delegato di Warner Music, l’industria musicale è tuttora “un business capace di produrre un vero flusso di cassa” per le aziende che vi operano. Il manager/imprenditore canadese lo ha sostenuto nel corso di un’intervista rilasciata qualche giorno fa al Financial Times, in cui riflette anche su altre evoluzioni del mercato e in particolare della società che dirige. “Abbiamo conquistato quote di mercato”, sostiene Bronfman, “perché abbiamo concentrato il nostro budget in ricerca e sviluppo sugli artisti in cui crediamo”. Circa la metà di quelli tuttora sotto contratto con il gruppo, aggiunge, hanno firmato accordi a 360 gradi che prevedono una compartecipazione della casa discografica a tutti i proventi connessi al loro <i>brand</i> e alla loro attività professionale. “Sostanzialmente”, spiega, “noi mettiamo il capitale di rischio. Siamo disposti a rischiare sugli artisti e cerchiamo di sfruttare tutte le fonti di ricavo rese possibili dal nostro investimento iniziale” (relativamente a concerti, merchandising, licenze, <i>endorsement</i>, accordi con imprese commerciali e così via). <br> “Credo che ci attenda un futuro abbastanza luminoso, man mano che il digitale penetra ulteriormente in tutto il mondo”, pronostica ottimisticamente il boss della Warner convinto che “un giro di boa per l’industria è inevitabile”, anche se ammette che nessuno ha una visione chiara di quello che accadrà in futuro: “Non credo che noi o qualcun altro possa affermare con sicurezza, oggi: questo è il nostro nuovo modello (di business), questo è ciò che sarà da qui a cinque anni”. Bronfman rivendica a Warner di essere stata più rapida, tempestiva e risoluta delle altre major nell’abbracciare il digitale (la Atlantic è in effetti la prima etichetta americana a incassare più dai download che dai cd, vedi <a href="http://www.rockol.it/news-97781/Stati-Uniti,-più-download-che-cd-nel-fatturato-della-Atlantic" target="_blank" class="newsLink">News</a>). “Siamo solo diventati più selettivi nella scelta dei partner”, spiega, rispondendo a chi lo ha accusato di investire troppo allegramente nelle <i>start up</i>. <br> Immancabile la domanda sulle possibilità di una fusione con la EMI, a cui Bronfman (prossimo a trasferirsi a Londra, vedi <a href="http://www.rockol.it/news-101290/Bronfman-(Warner)-va-ad-abitare-a-Londra--più-vicina-la-fusione-con-EMI-" target="_blank" class="newsLink">News</a>) risponde guardingo: “Ha sempre senso cercare di conseguire economie di scala, staremo a vedere cosa ci porta il futuro. Non faremo follie, questo è sicuro, ma la società ha la flessibilità per fare acquisizioni che risultino attraenti tanto per gli azionisti che per i detentori di obbligazioni Warner”.