Rumoroso il silenzio che avvolge la causa che vede Claudio Trotta, patron di Barley Arts, rischiare 3 mesi di galera, oltre ad ammende e potenziali ingenti richieste di risarcimento danni. La vicenda riguarda l’ormai famigerato sforamento di 22 minuti rispetto al tempo limite per la conclusione dello show di Bruce Springsteen allo Stadio Meazza il 25 giugno 2008. Lo sconcerto, allora come oggi, non era certo suscitato da una sacrosanta sanzione da comminare a chi viola le regole (e se il Boss non scende dal palco per tempo per suonare “Twist and shout” e “American land”, la responsabilità oggettiva è del promoter, ahilui). Lo sconcerto, oggi come allora, deriva dalla constatazione che per la normativa italiana il disturbo alla quiete pubblica – che si configura anche quando Bruce Springsteen ‘va lungo’ di fronte a 70.000 spettatori paganti e festanti - è un reato penale. A suo tempo ci facemmo promotori, anche attraverso un gruppo di supporto su Facebook ("22 minuti, Bruce e Claudio") , di una qualche forma di divulgazione, sensibilizzazione e pressione, affinché si prendesse in considerazione di trasformare il reato da penale ad amministrativo. E in pochi giorni circa 3000 individui aderirono semplicemente con il passaparola, e animarono molte discussioni in rete. Certo, che il tema riguardasse un idolo popolare come Springsteen non guastava e, per parte nostra, non abbiamo alcun pudore nell’ammettere che il senso di solidarietà avvertito nei confronti di un nostro pari addetto ai lavori rappresentava una forte spinta all’azione (siamo tra chi crede che discografici, promoter, artisti e media specializzati condividano le sorti di un’industria che produce spettacolo, personaggi e cultura ma che soffre come non mai e ottiene scarso rispetto dalle istituzioni e dal sistema Paese). Per la cronaca, il caso dei ’22 minuti’ non è isolato: citiamo, a mo’ di esempio, quello di Vittorio Quattrone che, per analoghi motivi (concerti all’Arena Civica di Milano di Lenny Kravitz e Subsonica), affronta una causa analoga. Però: come mai solo i blogger mostrano, oggi come allora, interesse e preoccupazione per la vicenda? Come dovremmo interpretare e gestire lo stridore tra un assessore che propone Trotta per l’Ambrogino d’Oro e un comitato di una cinquantina di persone che mette a rischio l’attività live della città che, patetiche etichette morali a parte, si accinge ad allestire l’Expò 2015? Come sopportiamo, in ultima analisi, che (anche) questo sia il trattamento riservato alla musica? E soprattutto: perché non si sente nessuno fiatare, a parte Giovanni Terzi? Fatto sta che a fine febbraio, quando avrà luogo la seconda udienza, sapremo in che direzione vira una vicenda che lo scorso 6 novembre, in prima udienza, si è arricchita di un nuovo stupefacente particolare: il pubblico ministero Giulio Benedetti ha chiesto a carico di Trotta anche le aggravanti (e così, all’art 650 cp si è aggiunto anche l’art. 61 cp, il motivo tecnico per cui alla difesa del promoter è stato concesso altro tempo per lavorare sulle nuove accuse). Non siamo giuristi, ma sappiamo leggere. Mettendo insieme una scarna rassegna stampa in merito, abbiamo anche letto tra le altre cose una vecchia copia di D News, in cui Silvana Gabusi (che rappresenta il comitato dei residenti di San Siro che si ritengono lesi) lascia intendere che la causa penale è in sostanza un viatico, un presupposto per procedere anche con la richiesta di risarcimento danni. Quali danni? Difficile definirli per bene. Quanti danni? La sua stima si aggira sui 100.000 euro, sulla base di precedenti risarcimenti ottenuti da sei persone molti anni fa dopo un concerto di Ligabue. Ah, ecco…. (gdc)