Nei panni di editorialista per il New York Times, il frontman degli U2 interviene nel dibattito pubblico sul peer-to-peer schierandosi decisamente dalla parte degli oppositori (a fianco del manager del gruppo irlandese, Paul McGuinness, che sull’argomento si è espresso più volte in passato). “Un decennio di file sharing e di scambi musicali”, scrive Bono in un ampio editoriale che elenca dieci temi cruciali per il nuovo decennio, spaziando dall’industria automobilistica alle questioni ambientali, dalle nuove scoperte scientifiche alle implicazioni politiche di ospitare i prossimi Campionati Mondiali di calcio in Africa, “ha reso evidente che a soffrirne è chi la musica la crea – in questo caso i giovani autori in erba che, a differerenza dei meno solidali tra di noi, non possono vivere vendendo biglietti di concerti e T-shirt – mentre i beneficiari di questo robinhoodismo al contrario sono ricchi service providers i cui profitti gonfiati riflettono esattamene il calo di fatturato del music business. Siamo il servizio postale, ci dicono: chi può sapere cosa c’è dentro il pacchetto?”. Ma Bono non è d’accordo: “Grazie ai nobili sforzi che l’America ha compiuto per fermare la pedopornografia, per non parlare degli ignobili tentativi della Cina di sopprimere il dissenso on-line”, scrive la rockstar, “sappiamo che è perfettamente possibile rintracciare i contenuti”. “Forse”, conclude Bono, “i magnati del cinema riusciranno dove i musicisti e i loro boss hanno fallito, radunando l’America nella difesa dell’economia più creativa del mondo, che attraverso la musica, i film, la televisione e i videogames contribuisce per quasi il 4 per cento al prodotto interno lordo”. Una replica non banale al suo intervento si può leggere su TheLefsetzLetter, frequentato blog di Bob Lefsetz.