Pippo Landro, fondatore e general manager dell’etichetta indipendente New Music, si è collegato al sito di Tgcom, ha ascoltato e messo a confronto “Mesi” dei Broken Heart College e “Beautiful soul” di Jesse McCartney, ed è andato su tutte le furie. “E’ un plagio, una copia spudorata”, dice a proposito del brano del giovane duo ammesso al Festival di Sanremo nella categoria “Sanremo Nuova Generazione”. “Puoi scambiare le basi e invertire le parti vocali, sono identiche. Ci tengo a sottolinearlo: non ce l’ho con i ragazzi, che conosco pure, né con la loro casa discografica, la Universal. Ma al Festival c’è un regolamento e va rispettato, come è successo in passato con Loredana Berté e tanti altri. Non è giusto che questo brano venga ammesso alla gara togliendo il posto a chi si è fatto un mazzo così lavorando mesi e mesi su un brano inedito”. Sempre da un’intervista pubblicata da Tgcom, Landro è venuto a conoscenza del “caso” Nicolas Bonazzi, la cui canzone sanremese “Dirsi che è normale” - scrive il portale Internet - era già comparsa sul sito MySpace dell’artista come risulterebbe da un’intervista pubblicata addirittura nel novembre del 2008. “Lo abbiamo fatto presente tramite l’associazione a cui sono iscritto, la PMI, e ci hanno risposto che stanno facendo gli accertamenti del caso, verificando se il brano ha già incassato dei diritti SIAE. Ma non è quello il problema, il pezzo non era mica in vendita: il problema è che il brano è già apparso sul Web e su MySpace. E che di questa faccenda non si è saputo più niente…”. Landro si accalora: “Non parlo per invidia e non ce l’ho neppure con la Commissione Artistica del Festival, dove siedono persone che rispetto e che considero grandi professionisti. Fatto sta, però, che due dei dieci giovani ammessi a Sanremo, regolamento alla mano, al Festival non dovrebbero esserci. Dovrebbero essere esclusi. Perché non succede? Perché noi indipendenti non contiamo più niente e di noi non frega niente a nessuno”. Il campo si allarga: “Guardiamo agli altri giovani, quelli di SanremoLab. Anche loro finiscono per essere appannaggio delle grandi case discografiche: logico che messo davanti all’alternativa tra noi, una Sony o una Universal, il giovane scelga la major. Fuori da Sanremo è lo stesso. A X Factor, per gli indipendenti, non c’è spazio: quello è monopolio della Sony. Ad Amici, lo stesso. E allora che faccio, se tra le mani ho un giovane di grande talento da proporre? Se non posso portarlo a X Factor, ad Amici o a Sanremo, e se i primi due occupano spazi anche al Festival, che altro mi resta da fare? Niente, non ho sbocchi né prospettive. E vogliamo parlare delle radio? O di Mtv e Deejay Tv che trasmettono solo musica straniera? Sfido poi che i fatturati delle aziende locali si riducono al minimo storico: ancora cinque anni fa arrivavamo ad avere il 30 per cento del mercato, oggi – se escludiamo la Sugar – siamo sotto lo 0,5 per cento. Finisce lo scouting, finisce la ricerca di talenti, finisce il mercato. Non c’è più un artista indipendente, nelle playlist delle radio e nelle classifiche di vendita. Possibile che nessuno dei nostri artisti valga qualcosa? Possibile che Maria De Filippi, con tutto il rispetto che ho per lei come donna di spettacolo, sia diventata il deus ex machina, l’unica in grado di capire se un giovane ha talento? E che chi come me fa questo mestiere da quarant’anni non capisca più un accidente di musica?”. La morale? “La morale è che Sanremo non andrebbe gestito così, e che qualcuno sta sbagliando. La morale è che così non si può più andare avanti. Siamo destinati a chiudere. A meno che qualcuno – la SIAE, il ministero della Cultura, o non so chi altro – si prenda a cuore la sopravvivenza degli artigiani della musica. Il sistema è marcio, non funziona. Abbiamo avuto Tangentopoli, abbiamo avuto Vallettopoli, forse è l’ora di fare Musicopoli. Sono pronto a fare nomi e cognomi”. Quando? “Quando avrò chiuso bottega”. . GIOCA AL FANTAFESTIVAL CON ROCKOL!