Spotify? Mai sentito nominare. 7 Digital? Nemmeno. E così tutti gli altri. Un sondaggio condotto nel Regno Unito da BMRB Omnibus Surveys, relativo al periodo 18-24 febbraio 2010 e riguardante un campione di 1995 persone dai 15 anni in su, svela che il 40 % degli inglesi è all’oscuro dei servizi di musica digitale che riempiono la bocca degli addetti ai lavori. E tra il restante 60 % che sostiene di avere familiarità con la Internet music, l’85 % confessa di conoscere soltanto iTunes e Amazon; solo il 2 % nomina Spotify e appena l’1 % cita 7 Digital e Last.fm. In sintesi: la maggioranza della popolazione non sarebbe a conoscenza del fatto che esistono alternative legali al file sharing e al download pirata. Risultati abbastanza sconcertanti, che spingono Jill Johnstone, direttore internazionale dell’associazione dei consumatori Consumer Focus, a esprimere una dura critica nei confronti delle case discografiche: “Non facendo nulla per promuovere i servizi legali di musica on-line, l’industria musicale si sta sparando sul piede da sola. Se il file sharing provoca i danni di cui le case discografiche si lamentano, perché non si sforzano di promuovere le alternative legali prima di ricorrere ai tribunali?”. L’associazione dei consumatori propone soluzioni alternative a quelle contenute nel nuovo Digital Economy Bill: contenere al minimo le azioni legali, il cui costo grava tanto sull’industria che sul pubblico, e riformare i meccanismi di licenza dei copyright in modo da rendere più flessibile l’offerta di musica digitale e declinarla secondo modalità diverse (abbonamento, streaming gratuito finanziato dalla pubblicità, formule “all you can eat” e così via).