Si dice (Rockol riportò la notizia il 30 novembre 2009) che Lady Gaga abbia guadagnato la miseria di 167 dollari dal milione di stream generati su Spotify dal suo megahit “Poker face”. Il sito svedese fondato da Daniel Ek, che molti indicano come la realtà più promettente della Web music, avrebbe insomma un grosso difetto: quello di produrre ricavi irrisori (almeno per ora) per gli artisti. Lo denuncia, tra gli altri, la British Academy of Songwriters, Composers and Authors (Basca), associazione britannica di categoria cui sono affiliati circa 2.000 autori di canzoni e il cui presidente Patrick Rackow ha lamentato la situazione nel corso di una intervista rilasciata alla Bbc. “La quantità di denaro ricevuta dagli autori, al momento, è infinitesimale”, ha raccontato Rackow. “Può darsi che non ci siano soldi. Ma non è stato neppure creato un percorso chiaro attraverso il quale un autore possa risalire a quanto gli spetta. Il tutto è nascosto sotto una cappa di segretezza, e la cosa è estremamente preoccupante”. Il presidente Basca ribadisce che la sua associazione appoggia Spotify; ma sottolinea che l’alone misterioso che circonda gli accordi siglati con etichette ed editori musicali rischia di provocare incertezze e sospetti tra gli artisti. Rackow invoca dunque maggiore trasparenza da parte del servizio, di cui le maggiori case discografiche sono azioniste. “Anche questo fatto”, a suo parere, “rende improbabile che il ritorno sull’investimento filtri sotto forma di pagamenti agli artisti”. Ek e Spotify non hanno replicato, ma più volte in passato hanno già espresso il loro pensiero: nel momento in cui aumenteranno tanto gli abbonati a pagamento che le inserzioni pubblicitarie, assicurano, ci saranno più soldi per tutti.