Con un fatturato in calo del 17,4 % sull’anno precedente (252 milioni di dollari, equivalenti a 181,5 milioni di euro), l’Italia è scesa al nono posto nella graduatoria dei maggiori mercati discografici mondiali compilata dalla federazione internazionale IFPI: la precedono Stati Uniti (4 miliardi e 632,4 milioni di dollari), Giappone (4 miliardi e 49,6 milioni), Regno Unito (1 milardo e 573,8 milioni), Germania (1 miliardo e 533,3 milioni), Francia (947,7 milioni), Canada (395,9 milioni), Australia (381,6 milioni), e ora anche la piccola Olanda (265,4 milioni di dollari, 6 milioni di abitanti contro i nostri 60 milioni), mentre alla sue spalle si colloca la Spagna (245,9 milioni di dollari). Nel complesso l’industria discografica mondiale ha registrato nel 2009 un calo del 7,2 % (che si riduce però a 3,2 %, se si escludono i due Paesi leader), generando un giro d’affari pari a 17 miliardi di dollari; a fronte della continua flesssione del mercato tradizionale (- 12,7 %) è cresciuto del 9,2 % il comparto della musica digitale, salito a 4,3 miliardi di dollari e oggi pari al 25,3 % delle entrate complessive delle case discografiche. Ad alzare (e falsare) sensibilmente la media sono gli Stati Uniti, dove le entrate da servizi di streaming e negozi di download raggiungono ormai il 43 % del fatturato, mentre solo Giappone (24 %) e Canada, tra i Paesi in Top Ten, raggiungono o superano quota 20 % (ai livelli più bassi ci sono Germania, 10 %, e Olanda, 6 %; l’italia è al 13 %). L'Olanda, al contrario, guida nettamente il gruppo per quanto riguarda i ricavi generati dai diritti di pubblica esecuzione (18 %), davanti alla Spagna (15 % ): in Italia le performance royalties pagate dagli utilizzatori di musica registrata (tv, radio, bar, discoteche ristoranti, alberghi, ecc.) incidono per l’11 % sul totale dei ricavi mentre negli Usa – dove la radio via etere tuttora non pagano alcuna royalty – la percentuale è ferma a un modestissimo 2 %.