L’Italia non è l’unico Paese in cui case discografiche ed emittenti radiofoniche litigano tra loro a proposito delle royalty da pagare per la pubblica diffusione di musica registrata: in Nuova Zelanda, ad esempio, sulla questione si è appena pronunciato il Tribunale del Copyright, fissando al 3 per cento dei ricavi lordi delle stazioni radio (e allo 0,75 % per quelle che basano la programmazione principalmente sul parlato) l’entità dei diritti “connessi” da versare ad artisti ed etichette. Il 3 % di royalty, che equivale a un aumento del 58 % degli incassi dei discografici, è la metà di quanto aveva richiesto per loro conto l’agenzia di collecting Phonographic Performances New Zealand (il vecchio contratto di licenza, scaduto nel novembre del 2007, fissava il tasso percentuale all’1,75 % dei ricavi). Ciò nonostante, ha dichiarato l’ad Kristin Bowman, “l’incremento delle tariffe rappresenta un risultato molto positivo per i nostri 59 membri e per i 1.600 artisti neozelandesi che partecipano al nostro Recording Artist and Producer Fund”. La Radio Broadscasters Association neozelandese, per contro, si è battuta per mantenere la royalty al vecchio livello, sostenendo che l’airplay radiofonico promuove e incrementa le vendite dei dischi; il suo direttore esecutivo, David Innes, contesta anche i criteri di calcolo dei ricavi dell’industria radiofonica, che dovrà versare tra i 2,5 e i 3 milioni di dollari all’anno con effetto retroattivo dal 2007. Come si vede, la vicenda è quasi identica, nella sostanza e persino nei dettagli, a quella che coinvolge in Italia SCF e network radiofonici privati: con la differenza che da noi sarà la magistratura ordinaria – salvo accordo extragiudiziale tra le parti – a decidere in materia (la prima sentenza di merito è attesa per l’anno prossimo). Nel frattempo il boicottaggio delle novità discografiche in radio continua, a quanto pare limitato ora al solo repertorio locale e non più a quello internazionale: con grave danno, commentano le associazioni di categoria PMI e FIMI, per le etichette indipendenti e per l’intera industria discografica che incassa oltre il 50 % del fatturato dalla musica prodotta entro in confini nazionali.