La maggior parte degli esperti e degli operatori, oggi, individua nel concetto di “music cloud” (sostanzialmente: musica non posseduta fisicamente dall’utente ma accessibile in qualunque momento, e da qualsiasi dispositivo connesso a Internet) il futuro dell’industria discografica. Ma siamo sicuri che sia questa, la volontà del pubblico? Mark Mulligan, analista di Forrester Research, non ne è convinto: “Non è realistico attendersi che il consumatore medio faccia uso di un gran numero di apparecchi per ascoltare musica. E’ più probabile che consolidi il suo comportamento stabilizzandosi su un paio di lettori”, ha detto il ricercatore commentando i dati di uno studio appena pubblicato dalla società, “360 music experiences: Use the cloud to target device use orbits”. La ricerca si è basata su un campione di 5.264 cittadini nordamericani dai 18 anni in su, intervistati nel terzo trimestre del 2009: dalle loro risposte si evince che il 41,6 % utilizza ancora il computer di casa come strumento principale per ascoltare musica digitale, mentre il 32,5 % ricorre a lettori Mp3 dedicati, il 12,1 % a “music phones” e l’11,1 % a impianti hi-fi domestici che consentono l’ascolto in streaming. Quel che più colpisce, però, è la scarsa sovrapposizione tra le diverse categorie: meno di un quarto delle persone (il 23 %) ascolta musica sia sul pc che sul lettore Mp3, appena il 9 % usa tanto il computer che il cellulare, solo il 5 % passa indifferentemente da un tipo di lettore all’altro rimarcando così un elevato tasso di “fedeltà” al proprio apparecchio preferito. L’uso dei cellulari e delle loro applicazioni, in particolare, resta secondo Mulligan una peculiarità dei consumatori più giovani (il 63 % degli utenti di “music phones” sondati dal campione Forrester appartiene alla fascia di età compresa tra i 18 e i 24 anni): questi ultimi preferiscono comunque scaricare direttamente sul telefonino le canzoni preferite piuttosto che le applicazioni che consentono di ascoltarle in streaming. Questi comportamenti, ammette Forrester, sono condizionati in parte dalla carenza di offerta (al momento dell’effettuazione del sondaggio, negli Usa dovevano ancora debuttare MOG, mSpot e Rdio), e l’industria si trova davanti a una doppia sfida: convincere, nel breve termine, i possessori di iPod e di altri smartphones a passare ai servizi di ascolto ad abbonamento mensile (invece di limitarsi a prelevare dalla rete la musica scaricata e archiviata sul computer); indurre, nel medio termine (da qui a tre anni) una fetta consistente del pubblico ad acquistare gli impianti stereo di nuova generazione che incorporano un player per l’ascolto in streaming. “La maggioranza dei consumatori”, conclude Mulligan, “non acquista musica digitale a ritmi regolari. Dunque, anche senza incrementare la base d’utenza ma cercando di ricavare più denaro da quella esistente l’industria musicale ne conseguirebbe dei vantaggi”.