Una tassa a carico degli Internet Service Providers, calcolata in proporzione alla quantità di file pirata intercettati sulle rispettive reti a banda larga: la propone la società degli autori ed editori inglesi PRS for Music (equivalente alla nostra SIAE) in uno studio intitolato “Moving Digital Britain Forward Without Leaving Creative Britain Behind” (“Far progredire la Gran Bretagna digitale senza lasciare indietro la Gran Bretagna dei creativi”). I redattori del documento, l’economista Will Page di PRS e David Touve della Washington and Lee University, sostengono trattarsi di una soluzione praticabile, dal momento che il nuovo Digital Economy Act incarica la Ofcom, l’authority delle telecomunicazioni, di monitorare e misurare i livelli di pirateria: il loro scopo, aggiungono, è di utilizzare la “levy” come deterrente, spingendo gli ISP ad agire preventivamente per risolvere il problema alla radice. La tecnologia attuale, con i sistemi di “fingerprinting” o impronte digitali che permettono di individuare la natura dei file che circolano in rete, consente teoricamente di applicare l’imposta, che verrebbe versata allo Stato o direttamente ai titolari dei diritti. Improbabile però che la proposta possa concretizzarsi in tempi brevi: sia per la immaginabile, fiera opposizione del gruppo di pressione capeggiato dagli stessi ISP, sia perché la nuova legge antipirateria inglese impone loro il solo obbligo di ammonire, ed eventualmente sospendere dal servizio, gli utenti che violano i copyright dei produttori di contenuti (nel caso in cui questi utltimi ne facciano richiesta). Come ha dichiarato al Financial Times un portavoce del Department for Business, Innovation and Skills, per far passare una simile proposta “ci vorrebbe una normativa nuova, che al momento non rientra nei nostri piani”.