Chris Anderson di Wired ci aveva visto giusto, quando aveva pronosticato la progressiva frammentazione del mercato discografico; la sua celebre teoria della “coda lunga” (piccole vendite, sommate assieme, producono quote di mercato e ricavi paragonabili a quelli generati dai pochi best sellers, a condizione di trovare canali di distribuzione adeguati) non sembra tuttavia poter portare conforto all’industria discografica. Lo dimostrano i dati di Nielsen SoundScan sciorinati al New Music Seminar di New York da Eric Garland (presidente dell’ente di rilevazioni statistiche BigChampagne) e da Tom Silverman, discografico della Tommy Boy e promotore della Convention: sui 100 mila album pubblicati negli Stati Uniti nel corso del 2009, sono ben 81 mila quelli che hanno venduto meno di 100 copie, mentre sono oltre il 90 %, (92.601, per la precisione) quelli che non hanno trovato più di mille acquirenti. Al contrario, solo 1.319 novità musicali a lunga durata hanno superato quota 10 mila copie (erano state 1.515 nel 2008), e appena 85 hanno varcato la soglia delle 250 mila copie: solo nove anni fa, nel 2001, erano stati 214. La fine irreversibile dell’album, a dispetto dei tentativi di iTunes di rilanciarlo come formato digitale?