Apple torna sotto il mirino dell’Antitrust: dopo le indagini finalizzate a valutare gli effetti della sua posizione dominante nel mercato della musica digitale (avviate nel maggio scorso e approdate finora a un nulla di fatto), a solleticare l’attenzione degli organi di tutela della concorrenza, stavolta, è il progetto annunciato dalla casa di Cupertino di trattenere per sé il 30 % dei canoni di abbonamento incassati attraverso il suo App Store per l’accesso a contenuti tramite iPhone e iPad. Sull’onda delle pubbliche proteste espresse da alcuni editori, sviluppatori di applicazioni e concorrenti, il Dipartimento di Giustizia statunitense ha già avviato un’indagine e si appresta, secondo fonti bene informate, ad ascoltare direttamente le parti in causa; in Europa, stando alle dichiarazioni dei portavoce e di quanto riferito in Parlamento dal commissario Andris Piebalgs, invece, la Commissione Europea si limita per ora a monitorare la situazione, ritenendo che i confini di un mercato in forte evoluzione e caratterizzato dalla presenza di offerte concorrenziali (come quella appena annnunciata da Google) non consentano di fare altrimenti. Apple, dal canto suo, ha già cercato di rispondere preventivamente alle accuse: sono gli editori e sviluppatori, spiega la casa di Cupertino, a fissare il prezzo e la durata degli abbonamenti che possono continuare a vendere direttamente tramite i loro siti; in quel caso, Apple richiede però che le condizioni offerte non siano più convenienti di quelle proposte a chi acquista tramite l’App Store. Esperti come Mark Mulligan di Forrester Research, tuttavia, sembrano condividere le preoccupazioni manifestate da concorrenti di Apple come Rhapsody e Rdio: “La musica digitale”, osserva l’analista, “è un business a basso margine. I costi legati ai diritti valgono normalmente più del 70 % dei ricavi mentre tecnologia e marketing assorbono la maggior parte di ciò che resta. Una ‘tassa’ del 30 % applicata da Apple ha il potenziale di trasformare gli abbonamenti musicali a pagamento da un business a margine ridotto a un business in perdita”.