Non tutta la comunità web sta dalla parte di Napster, nella battaglia legale che quest’ultima conduce in questi giorni contro l’industria discografica (vedi news). Non sono pochi, infatti, gli appassionati di musica e i web surfer che accusano la società di San Mateo, California, di ipocrisia: per difendere i propri interessi commerciali e la propria posizione dominante nei servizi di “file sharing” musicale (scambio gratuito di brani online), Napster verrebbe meno ai principi di libera circolazione delle informazioni in rete, cercando di bloccare tutti i tentativi di sviluppare software compatibili o utilizzabili anche su altri sistemi operativi nonché il libero accesso da altri siti al suo database di canzoni in formato MP3. Negli ultimi tempi gli strali di Napster, secondo un dettagliato capo d’accusa compilato da Lee Gomes e diffuso online nei giorni scorsi, si sono abbattuti sugli obiettivi più vari. Tra le sue “vittime” figurano David Weekly, uno studente dell’università di Stanford che ne ha decrittato il software per diffonderne la conoscenza in rete, e che è stato immediatamente invitato a rimuovere l’informazione dal suo sito; Chad Boyda, autore di un programma chiamato Napigator che consente di connettersi ai computer di Napster così come ai server dei numerosi siti che ne imitano il funzionamento (e i tecnici della società di San Mateo hanno reagito riscrivendo il programma in modo da rendere impossibile la connessione); infine, il sito Angry Coffee, reo di avere utilizzato un “agent software” che permetteva ai suoi utenti di richiamare da una sola pagina web le canzoni preferite in formato MP3 bypassando l’accesso diretto al sito di Napster (anche in questo caso la web company californiana ha negato la possibilità di accesso ai suoi archivi di file). “Napster tratta il suo database come fosse una proprietà privata. Ma non è altro che una lista di brani musicali piratati”, ha commentato il direttore generale di Angry Coffee Adam Powell. Secca la replica di Hank Barry, CEO di Napster: “Non sviluppiamo un software ‘open source’ come Gnutella, siamo una società per azioni. Perseguire i nostri interessi è perfettamente legittimo e non contrasta con il nostro credo sulla libera circolazione della musica in rete”. Chi ha ragione? Il dibattito tra internauti è aperto.