In un’intervista esclusiva concessa al sito Private Equity International, Guy Hands smentisce le indiscrezioni che lo davano fortemente intenzionato a rientrare nel music business. “Credo che una EMI nella vita sia sufficiente”, chiosa il fondatore di Terra Firma autoesiliatosi (per motivi fiscali) nell’isola della Manica di Guernsey, dopo avere concesso che una possibilità esiste “ma è molto, molto piccola”. “Abbiamo esplorato tre volte un investimento nel Manchester United”, aggiunge a mo’ di esempio, “ma non abbiamo mai fatto un’offerta e neppure avvicinato i suoi proprietari”. Su richiesta dei suoi finanziatori, Terra Firma si è dedicata ultimamente a investimenti meno eclatanti, entrando nel business delle energie rinnovabili (con la società Infinis) e dell’allevamento del bestiame (con un’azienda australiana). “Si tratta di business meno eccitanti ma molto redditizi”, spiega Hands. “L’effetto è più graduale, si tratta di fare passi più piccoli e c’è meno volatilità”. Ciò nonostante, il finanziare esprime “tristezza” per come sono andate a finire le cose con la EMI. E si dice convinto, come Roger Faxon, che l’attuale proprietario Citigroup finirà per vendere separatamente casa discografica ed edizioni musicali anche se, in sintonia con il management EMI, la sua opinione è che “conservarle come una singola entità avrebbe più senso”.