I numeri continuano a fare impressione. Due miliardi di video visti ogni giorno in tutto il mondo, 35 ore di nuovi filmati caricati al minuto. Nata nel 2005 come palestra video dello user generated content (UGC), YouTube è diventata un enorme ecosistema planetario di produzione e consumo di musica e immagini, in cui il nostro Paese fa la sua parte: sui 484 milioni di utenti unici mensili (dati ComScore) gli italiani sono 14,6 milioni, cioè il 57 % della popolazione connessa online (dati Nielsen/Netratings aggiornati al dicembre 2010). Ogni utente italiano, raccontano le statistiche, trascorre mediamente 55 minuti al mese sul sito, dedicandovi il 90 % del tempo speso per la fruizione di video online. Di fronte a queste cifre case discografiche, broadcaster televisivi e produttori cinematografici – in altre parole: i detentori dei copyright, le industrie dei “contenuti” – si pongono da anni una duplice domanda: come arginare gli usi non autorizzati e proteggere le opere dell’ingegno di loro proprietà? E come sfruttare a proprio vantaggio un canale di distribuzione virale di tale immensa portata? “Sfatiamo un mito: YouTube non è una giungla di contenuti fuori controllo”, premette il Corporate Communications and Public Affairs Manager di Google Alessio Cimmino. “La tutela del copyright è da sempre una delle nostre prime preoccupazioni”. Per cui la società ha sviluppato uno strumento tecnologico apposito che mette a disposizione dei partner: si chiama Content ID, contiene oggi oltre 100 mila ore di audio/video referenziati e in Italia lo usano già più di 100 aziende (tra queste Rai, La7, Fox Channels Italy, Panini e De Agostini). Spiega la respondabile partnership di YouTube in Italia, Federica Tremolada: “Sarà capitato a tutti di ricercare sul sito un contenuto che risulta non più disponibile a causa di una rivendicazione da parte del proprietario. O di trovarsi di fronte a qualche secondo di pubblicità prima di poter iniziare la visione del filmato. E’ il segnale che la tecnologia di Content ID è in funzione”. Di cosa si tratta? “Sostanzialmente di un sistema di fingerprinting che permette ai titolari dei copyright di controllare e gestire i loro contenuti sulla piattaforma. Il Content ID li mette in relazione con gli utenti, riservando a noi il ruolo di intermediari. Il partner/content provider carica i suoi ‘reference file’ (file di riferimento) generando nel nostro database un insieme di file identificativi, o ID file: ogni volta che l’utente carica i suoi contenuti video, si tratti di un filmato abbinato a un video musicale, di una sequenza cinematografica o di un episodio di un serial tv, il database mette a confronto le impronte digitali dei file verificando eventuali corrispondenze segnalandole al titolare del copyright. Il quale, a questo punto, detta le regole scegliendo tra tre diverse opzioni: può bloccare preventivamente il contenuto, prima che venga reso pubblico; può tracciarne l’utilizzo da parte della community; o ‘monetizzarne’ l’uso attraverso il meccanismo del revenue sharing degli introiti pubblicitari. Con il passare del tempo la nostra tecnologia è diventata sempre più sofisticata: in passato qualcuno riusciva ad aggirare i controlli caricando video di qualità molto bassa o convertiti in bianco e nero, ma oggi i nostri algoritmi di approssimazione matematica riconoscono anche quelli. E sempre più flessibile: una casa discografica, ad esempio, può decidere di includere nel database i soli dati audio. E se non vuole che io usi una canzone degli U2 come colonna sonora del mio video delle vacanze, il filmato comparirà sul sito ma sarà muto. Le etichette possono ricorrere anche alla funzione di audio swap, mettendo direttamente a disposizione degli utenti una library musicale per la creazione di video user generated; rivendicare il loro diritto su una sola porzione del contenuto, ad esempio in casi di mash-up; o restringerlo territorialmente, se il loro copyright non copre tutti i mercati. Anche i nostri sistemi di reportistica sono diventati più analitici e puntuali: oggi siamo in grado di individuare i ‘punti caldi’ della fruizione, di verificare se l’utente si sofferma su certe sequenze particolari, se e quando utilizza il comando fast forward e così via”. (continua)