Il trasferimento di proprietà del gruppo Warner Music (casa discografica)/Warner Chappell (edizioni musicali) alla Access Industries di Len Blavatnik – azionisti, Antitrust e controfferte dell’ultimissima ora permettendo – non dovrebbe comportare stravolgimenti nella fisionomia della major: anche in virtù dei rapporti professionali e d’amicizia che legano i fautori dell’operazione (il finanziere russo-americano possedeva già il 2 % del capitale Warner), sembra molto probabile che il presidente e ammnistratore delegato Edgar Bronfman Jr. possa restare al suo posto, continuando a circondarsi dei suoi fedelissimi (a cominciare da Lyor Cohen, numero uno della società in Nord America). Sembra anche che Bronfman e Blavatnik abbiano già in mente un piano d’azione: consistente nel tentare la scalata alla EMI, che Citigroup metterà in vendita più avanti nell’anno, con il probabile intento di consolidare gli asset discografici delle due società liquidandone gli interessi editoriali. Sempre che non ci si metta di mezzo qualcuno: alla EMI guardano con interesse diverse delle società, musicali o extrasettore, che hanno partecipato all’asta per Warner, e che nei riguardi di Bronfman – sospettato di avere preso le sue decisioni molto tempo fa – hanno oggi il dente avvelenato; mentre l’associazione delle etichette indipendenti di base a Bruxelles, Impala, ha già avvertito che si opporrà a un eventuale merger tra le due compagnie. “Come molti commentatori hanno riconosciuto”, scrive in un comunicato il presidente esecutivo dell’ente Helen Smith, “se uno dei due leader di mercato, Sony o Universal, dovesse fare una mossa si troverebbe davanti a un muro di mattoni eretto dalle autorità che vigilano sul mercato. Qualunque tentativo di fondere EMI con Warner verrebbe analogamente bloccato, a meno che non vengano previste misure sostanziali per risolvere i problemi di concorrenza conseguenti a una riduzione delle major da quattro a tre”.