I documenti depositati da Warner Music presso la Security and Exchange Commission (SEC, l’ente governativo che vigila sui mercati e la concorrenza negli Stati Uniti) confermano che l’offerta avanzata dal vincitore d’asta, la Access Industries di Len Blavatnik, non era la più elevata tra quelle pervenute alla società musicale: a fronte del versamento di 8,25 dollari per azione pattuito con l’imprenditore russo-americano (equivalente a 3,3 miliardi di dollari in totale), infatti, la cordata composta da Sony, Guggenheim Partners e la MacAndrews & Forbes di Ronald Perelman aveva controbattuto in extremis con un’offerta da 8,50 dollari (3,5 miliardi di dollari in totale). Il consiglio direttivo di Warner ha tuttavia deciso di optare per la soluzione immediatamente a portata di mano: sia perché l’offerta di Blavatnik era condizionata ad un’accettazione nell’arco di 48 ore, sia perché quella alternativa era subordinata alla possibilità di Sony di vendere immediatamente la parte discografica del gruppo a MacAndrews & Forbes per non incorrere in un probabile blocco da parte dell’Antitrust. Le carte in mano al SEC dimostrano che le parti interessate a un acquisto di Warner Music erano ben 17, 10 delle quali hanno avanzato un’offerta formale. Tra queste, la cordata Platinum Equity/Gores Group che aveva alzato la sua offerta fino a 8 dollari per azione. Le clausole del contratto finale, infine, prevedono forti penali per entrambe le parti (56 milioni di dollari per Warner, 60 per Access) se l’operazione non dovesse andare a buon fine.