I tassi di crescita della fruizione di musica in modalità streaming sono ancora troppo ridotti per farne un modello di business affidabile e redditizio per l'industria musicale. Lo sostiene un nuovo "white paper" prodotto da Nielsen e focalizzato sull'andamento del mercato in quattro Paesi Europei (Regno Unito, Germania, Francia e Spagna) e negli Stati Uniti (prima del recente arrivo di Spotify: e si tratta ovviamente di un'assenza importante). Lo studio, che per quanto riguarda gli Usa prende in considerazione l'andamento di 18 servizi di streaming musicale tra cui iHeartRadio, Last.fm, Napster, Pandora, Rhapsody e Slacker, sostiene che la loro penetrazione complessiva rispetto alla popolazione americana, nell'aprile scorso, non andava oltre il 10,2 %: dato messo seriamente in discussione da Glenn Peoples di Billboard, tuttavia, dal momento che i dati comunicati dalla sola Pandora parlano di una base attiva di 36 milioni di utenti al mese (pari all'11,6 % della popolazione), quelli di Slacker di circa 25 milioni di ascoltatori (circa l'8 % della popolazione), e che un'indagine pubblicata a gennaio dall'ente di rilevazione radiofonica Arbitron sosteneva che il 34 % dei cittadini statunitensi ascolta la radio su Internet (il 13 % accedendo a servizi di streaming "puri", e cioè non collegati alla programmazione di emittenti AM/FM) con tassi di crescita che raddoppiano anno dopo anno. L'indagine Nielsen, che ha registrato gli stream di MySpace (in forte calo) ma non quelli di YouTube o quelli che passano attraverso Facebook, rileva comunque una crescita del tempo trascorso ad ascoltare musica in streaming: nel Regno Unito, per esempio, la media è salita da 52 minuti a un'ora e undici minuti al mese (due ore al mese per gli utenti di Spotify).