Il progetto di fusione (poi fallito) tra EMI e Warner Music sembra avere avuto, tra i suoi effetti indesiderati, anche quello di avere riaperto le indagini sulle presunte pratiche di cartello messe in atto dall’industria discografica europea per tenere artificiosamente alti i prezzi di vendita dei CD, lucrando alle spalle dei consumatori. Secondo il quotidiano Financial Times, che ha riportato per primo la notizia, la Commissione Europea avrebbe deciso di aprire un’istruttoria in materia dopo essere entrata in possesso dei carteggi e dei documenti privati delle due major. Del resto, proprio i timori relativi a un possibile controllo oligopolistico sul livello dei prezzi avevano spinto il commissario Mario Monti a bloccare l’’operazione (vedi news), ed ora la vicenda rischia di ripercuotersi negativamente anche sulle contrattazioni in corso in vista di un “merger” tra la stessa EMI e BMG (vedi news) nonché sull’immagine e le politiche commerciali dell’intero settore: come si ricorderà, una analoga istruttoria da parte degli organi di tutela della concorrenza italiani si era chiusa nell’ottobre del ’97 con una condanna a carico delle cinque major multinazionali sanzionata con una multa complessiva di circa sette miliardi e mezzo di lire. <br> Il problema, comunque, non è sentito solo da questa parte dell’Atlantico: sui presunti comportamenti anticoncorrenziali dell’industria discografica aveva indagato lo scorso anno anche la Federal Trade Commission statunitense, con cui le cinque major hanno concordato circa otto mesi fa un accordo extragiudiziale (vedi news): secondo l’antitrust americano, la pratica concordata tra produttori e rivenditori di fissare prezzi minimi di vendita sarebbe costata ai consumatori USA non meno di 480 milioni di dollari in quattro anni.