Il mercato discografico americano dà segni decisi di risveglio. Una ricerca commissionata dall'associazione dei rivenditori NARM alla Nielsen e aggiornata al 21 agosto scorso sciorina infatti una serie di dati incoraggianti: non solo un'accelerazione nelle vendite di album digitali (+ 19,1 %, a fronte del + 13,5 % nello stesso periodo dell'anno precedente) e dei cosiddetti "track equivalent albums" (calcolati equiparando dieci brani digitali a un album), in crescita del 4,8 % (- 0,7 % nello stesso periodo del 2010), ma anche una parziale ripresa dei consumi di cd, in calo di appena il 4 % contro il 19 % dell'anno precedente e con un miglioramento costante negli ultimi cinque mesi (unica eccezione il mese di giugno). A spingere a galla il mercato sono principalmente due fattori, tra loro correlati: le vendite robuste di titoli di catalogo, tanto sulle piattaforme digitali che nei grandi magazzini, e la diminuzione del prezzo medio al dettaglio, passato da 11,07 a 9,82 dollari tra il 2008 e il 2010 (la tendenza non riguarda ovviamente i prodotti deluxe e neppure i formati digitali, usciti dalla logica del prezzo unico). Un terzo fattore contingente ha a che fare con la chiusura del servizio p2p LimeWire nel mese di ottobre del 2010, che ha prodotto un immediato effetto positivo sui consumi legali. Tutto bene, allora? Non proprio. Il dato che preoccupa gli operatori è quello che riguarda la richiesta di novità discografiche, ristagnante e penalizzata da un programma di pubblicazioni non troppo allettante per il pubblico di massa: una nuvola scura all'orizzonte, dal momento che il mercato non può continuare a guardarsi indietro all'infinito.