Don Henley e gli Eagles (a differenza di colleghi come Tom Waits) non si sono ancora mossi per richiedere alle case discografiche la restituzione dei master, così come previsto dalla legge americana sui copyright per i dischi usciti nei negozi a partire dal 1978, una volta trascorsi 35 anni dalla pubblicazione originaria. La scadenza si avvicina per "The long run", l'album datato 1979 che potrebbe tornare in possesso dei suoi creatori nel 2014, ma in un'intervista a David Browne di Rolling Stone Henley rivela che lui e il resto del gruppo stanno ancora discutendo il da farsi. "Gli artisti", spiega il sessantaquattrenne musicista texano, cofondatore con Sheryl Crow della Recording Artists' Coalition, "possono fare diverse cose. Possono rinnovare gli accordi con la loro etichetta e far leva sul loro diritto per rinegoziare un contratto discografico. Possono invocare i 'termination rights', farsi restituire i master e vedere che cosa farsene. Possono guardarsi intorno e vedere se qualcun altro, un'altra major o una indie, siano interessata. Possono metterli sul mercato loro stessi attraverso Internet. Oppure possono decidere di riregistrare tutto". "Con gli Eagles", aggiunge, "ne abbiamo parlato per anni. Ma c'è chi lo ha già fatto e il risultato non ha la stessa magia, non suona mai come prima. Gli originali sono impressi nella psiche della gente, è difficile rimpiazzarli". Perché è così importante farsi restituire i master, gli chiede Brown? "Perché vendiamo ancora un sacco di dischi di catalogo", è la risposta di Henley. "Cosicché significherebbe molto per noi e per i nostri eredi. Ho quattro figli e, come disse una volta qualcuno, il futuro non è più quello che era. Artisti come gli Eagles, che hanno venduto milioni e milioni di dischi producendo milioni di dollari di profitto per le case discografiche, dovrebbero farsi restituire le loro opere. E' molto semplice. Le abbiamo create, le abbiamo finanziate - perché non sono nostre? Invece le etichette ne rivendicano la proprietà e la titolarità, che è una delle assurdità dei contratti discografici". Il musicista ha qualcosa da dire anche ai discografici che negano l'applicabilità della legge paragonando l'attività dei musicisti a quella di un lavoratore dipendente: "E' un punto di vista davvero interessante perché noi non godiamo di nessuno dei benefici concessi a un normale impiegato, né sottostiamo ai suoi obblighi. Le case discografiche non ci forniscono un'assicurazione sanitaria. Non ci pagano la previdenza sociale. Non trattengono tasse dai nostri assegni royalty. Non ci procurano un posto di lavoro (...). Siamo lavoratori indipendenti". Henley confessa infine di non aspettarsi un atteggiamento arrendevole da parte dell'industria: "Conoscendo le case discografiche e avendoci lavorato per oltre 40 anni, so che niente è mai facile con loro. Non si lasceranno cadere addosso la cosa. La mia speranza è che gli artisti capiscano cosa c'è in gioco e quali sono i loro diritti".