L'affermazione progressiva dei servizi di streaming musicale, secondo una parte degli addetti ai lavori, non è necessariamente una buona notizia per case discografiche e artisti, penalizzati da royalty più esigue di quelle garantite da negozi di download come iTunes. In un "post" esclusivo pubblicato su Billboard.biz, tuttavia, il presidente di Rhapsody Jon Irwin si difende e contrattacca, sostenendo che streaming e download sono due esperienze differenti e come tali vanno diversamente valutate. "Dal suo lancio nel 2001", ricorda Irwin, "Rhapsody ha prodotto centinaia di milioni di dollari in royalty che sono stati pagati alle etichette discografiche, agli editori musicali e ai loro rappresentanti". "Da quello stesso momento", aggiunge, "le royalty sono state il costo maggiore sostenuto dalla società, e confidiamo nel fatto che esse confluiscano agli artisti, agli autori e agli altri creativi responsabili della musica che ci onoriamo di distribuire attraverso Rhapsody". Nel suo intervento Irwin sostiene di "aver sentito spesso dire, dagli autori di canzoni, che le royalty di Rhapsody li aiutano a stare a galla in un'epoca in cui i proventi che provengono dalla vendita dei dischi continuano a diminuire", pur ammettendo che, prese a sé, le cifre incassate da certi artisti risultano "incredibilmente minuscole". "Tuttavia", aggiunge, "guardare queste cifre attraverso la lente di una singola transazione è un atteggiamento miope. Quando un artista vende un download può effettivamente ottenere una quota di incasso maggiore: però viene pagato una volta sola. Se l'acquirente ascolta il suo brano un milione di volte o lo inserisce nel cd confezionato per il suo matrimonio distribuendolo a 500 persone, all'artista e all'autore non arriva nessuna royalty addizionale. Al contrario, ogni volta che un brano viene ascoltato su Rhapsody vengono pagati dei diritti. Ogni stream è una transazione sicura e documentata che garantisce ad artisti ed autori una possibilità potenzialmente infinita di essere remunerati". Irwin è convinto che, per quanto costituisca ancora una piccola percentuale della fruizione musicale, lo streaming "rappresenta il futuro. Nei prossimi anni, la musica on-demand sarà disponibile su ogni dispositivo immaginabile nelle mani del consumatore: in casa, in auto, virtualmente in qualunque luogo in cui si rechi l'appassionato. Con l'evoluzione dell'industria, le centinaia di milioni di stream che vengono distribuite oggigiorno diventeranno miliardi e poi miliardi di miliardi: ognuno di essi genererà compensi per gli artisti, gli autori e tutti gli altri soggetti coinvolti nella registrazione". Il presidente di Rhapsody è ovviamente consapevole del fatto che non tutti la pensano in questo modo. A cominciare dalle etichette che nelle ultime settimane hanno ritirato i loro cataloghi dal suo principale concorrente, Spotify. "Incoraggiamo gli artisti e gli autori a lavorare con i loro rappresentanti, etichette ed editori, per capire meglio come questa svolta nel consumo di musica possa beneficiarli, invece di ritirare semplicemente i loro contenuti dalle piattaforme", è la sua replica. "Avere l'intero catalogo di un artista a disposizione degli utenti di Rhapsody, che sono consumatori voraci e appassionati disposti a pagare la musica, ci permetterà di mantenere un'impresa centrata sul talento, e di elargire pagamenti sempre maggiori man mano che la nostra base di iscritti si espande".