La lista si allunga: dopo il team F.B.T. Productions (produttori di Eminem), Chuck D dei Public Enemy, Rob Zombie, i Whitesnake, gli eredi di Rick James, il batterista dei Knack Bruce Gary e altri ancora, anche Peter Frampton ha fatto causa alla sua ex casa discografica, la A&M Records del gruppo Universal Music, chiedendo al tribunale un risarcimento danni per violazione di contratto e comportamento sleale. Al centro della questione c'è ancora una volta la diversa interpretazione delle royalty maturate sulla vendita di singoli e album digitali. Le etichette, che li ritengono equivalenti ai supporti fisici (vinili e cd), pretendono di applicare la royalty tradizionale. Gli artisti, i loro manager e i loro avvocati sostengono invece trattarsi di una licenza di vendita concessa ex novo, che dà loro diritto a una percentuale del 50 per cento sullo stesso prezzo al netto delle spese. "In casi come questi non si tratta di semplice violazione del contratto", ha dichiarato l'avvocato di Frampton (ma anche di Gary e di F.T.P.) Richard Busch al giornale The Tennessean di Nashville, "dal momento che i ricorrenti sostengono che ci sia un tentativo deliberato di privarli delle loro royalty". Sovvertendo la sentenza di primo grado dell'anno precedente, nel settembre del 2010 una Corte d'Appello statunitense ha riconosciuto a F.B.T. Productions e a Eminem il diritto a riscuotere una royalty del 50 per cento sulla vendita dei dischi digitali (anziché del 12 per cento, come avveniva sui cd). Nella circostanza, i ricorrenti reclamavano il mancato pagamento da parte di Universal e Aftermath Records di 650 mila dollari relativamente al periodo compreso tra il 2002 e il 2005. La Corte Suprema ha successivamente respinto la richiesta di riaprire il caso.