I 100 milioni di dollari che Vevo ha versato in due anni alle case discografiche (due delle quali, Universal e Sony Music, sono cofondatrici dell'impresa) attingendo ai suoi introiti pubblicitari hanno lasciato a bocca asciutta, a quanto pare, gli editori musicali (e forse anche le etichette) indipendenti. Lo sostiene Matt Pincus, amministratore delegato della società di edizioni Songs Music Publishing, in un intervento pubblicato sulla newsletter online The Wrap e destinato ad accendere polemiche. Pincus scrive di non avere ancora visto neppure un dollaro, nonostante le canzoni del suo catalogo figurino sulla piattaforma che diffonde videoclip e altri contenuti musicali. Il motivo? Le major che ne sono i partner privilegiati firmano con Vevo accordi "all inclusive" che coprono discografia ed edizioni: "Così", spiega Pincus, "Vevo paga le major discografiche, e queste si assumono la responsabilità di trasferire la contabilità agli editori, come fanno per le vendite su iTunes. Il problema è che non lo fanno, e che si siedono sul denaro che incassano". Non solo: sempre secondo Pincus, alcune delle canzoni di cui la sua società amministra una quota di diritti finiscono nel catalogo del portale senza la sua autorizzazione, nonostante il fatto che "le licenze di sincronizzazione non sono obbligatorie". Eppure le cose vanno diversamente con YouTube, che è il maggior distributore dei video di Vevo sul mercato internazionale. Pincus fa l'esempio di una canzone attualmente piazzata nella Top Ten americana, "Rack city" del rapper Tyga: "YouTube", scrive, "ci paga direttamente anche nel caso si tratti di un video in cui un ragazzino si filma mentre mima la canzone e sua nonna balla sullo sfondo. E invece non veniamo pagati per il video ufficiale prodotto dalla Universal Records. A me sembra del tutto illogico". Vevo, per ora, non commenta.