I gruppi e gli artisti indipendenti temono che royalty troppo alte sul Webcasting mettano fuori gioco le radio on-line, compromettendo la loro possibilità di competere con i colleghi appoggiati dalle major e di farsi conoscere dal grande pubblico. E’ questa la tesi che David Fagin, leader del gruppo pop-rock americano Rosenbergs, ha sostenuto venerdì scorso, 19 ottobre, a Washington davanti al Copyright Arbitration Panel, il comitato di tre membri incaricato di fissare il “prezzo” (sotto forma di royalty percentuali) che i Webcaster americani dovranno pagare alle case discografiche in cambio del diritto di trasmettere la loro musica on-line. <br> Fagin, già noto per i suoi atteggiamenti intransigenti e battaglieri nei confronti dell'industria discografica, ha detto di temere che una royalty troppo alta finisca per mettere definitivamente in ginocchio un settore già provato dalla forte flessione degli investimenti pubblicitari on-line. “Ciò che la RIAA (l’associazione dei discografici americani) richiede è una somma 20 volte superiore a quella che le stazioni radio pagano all’ASCAP e alla BMI (le organizzazioni degli autori). E il peggio è che le loro richieste sono retroattive: è come se vi chiedessero di versare cinque dollari per ogni giorno che avete guardato la televisione in passato”, ha dichiarato Fagin dopo l’incontro alla testata Hollywood Reporter, paragonando il ruolo attuale dei Webcaster a quello che le radio via etere svolsero agli albori del rock’n’roll. “Solo gruppi come la Dave Matthews Band e i Creed potranno continuare a guadagnare qualcosa dopo che le tariffe saranno salite alle stelle”, ha aggiunto il musicista americano. Il cui parere tuttavia non è condiviso da tutta la comunità artistica americana: alcuni suoi colleghi sostengono infatti la tesi contraria, e cioè che solo una royalty elevata permetterà loro di recuperare denaro dalle trasmissioni musicali on-line.