A fine 2011, nel Regno Unito, la musica digitale valeva il 35 per cento del mercato in termini di fatturato. Nel primo trimestre del 2012, invece, la musica "liquida" è già balzata al 55,5 per cento, superando i ricavi generati dalle vendite di Cd ed Lp in vinile. I supporti "fisici" sono calati di un altro 15,1 per cento, a 69,3 milioni di sterline: ma il boom del digitale - + 23,6 per cento, 86,5 milioni di sterline prodotti complessivamente da download "alla carta", servizi in abbonamento e streaming gratuito finanziato dalla pubblicità - ha permesso all'industria discografica di chiudere il primo "quarter" in attivo del 2,7 per cento (155,8 milioni di sterline) rispetto all'anno scorso. Particolarmente significativo il balzo in avanti dei ricavi relativi allo streaming in abbonamento, + 93 per cento per poco meno di 9 milioni di sterline, mentre le vendite di album digitali hanno registrato una crescita del 22,7 per cento (35,9 milioni di sterline) e servizi freemium come Spotify e We7 hanno generato introiti per 3,4 milioni di sterline (+ 20 per cento). "Si tratta di una significativa pietra miliare nell'evoluzione del music business", ha commentato l'amministratore delegato dell'associazione dei discografici BPI Geoff Taylor. "Le case discografiche britanniche hanno sposato il digitale, promuovendo l'innovazione e licenziando il loro repertorio a più servizi online e mobile rispetto a qualunque altro Paese. La conseguenza è che le prospettive di crescita dell'industria appaiono più luminose di quanto siano state da diversi anni a questa parte". "Dobbiamo tuttavia vedere ripetersi questo trend per diversi trimestri", ha aggiunto, Taylor "prima di poter dire di avere attraversato il Rubicone del digitale. Nel Regno Unito, e soprattutto nell'ultimo trimestre dell'anno, la domanda di Cd fisici resta sostenuta. La creatività, il livello di investimenti e la competenza digitale messe in campo dall'industria musicale britannica, in ogni caso, indicano un sentiero di crescita per tutta l'economia nazionale".