Perché Spotify ha atteso così tanto (il debutto oltreoceano è avvenuto soltanto nel luglio del 2011, quasi tre anni dopo il lancio iniziale) per fare il suo ingresso sul mercato statunitense? Secondo Sean Parker, che della società svedese è azionista, un ruolo di interdizione lo avrebbero giocato anche Apple e iTunes: gli uomini di Cupertino avrebbero cercato di mettersi in mezzo sentendosi minacciati dalla concorrenza della piattaforma di streaming creata dallo svedese Daniel Ek. Parker ha fatto la sua rivelazione durante una conferenza organizzata in California dalla pubblicazione online All Things D, citando come prova alcune e-mail da lui ricevute e che lo informavano della situazione, ma senza fornire dettagli o accuse più circostanziate. "D'altra parte", ha osservato l'imprenditore americano, "la musica rappresenta tuttora una piccola parte del business complessivo di Apple, e dunque la nostra presenza non poteva incidere in misura enorme sui suoi bilanci". Richiesto di un commento sullo stato dei rapporti con l'industria musicale, Parker (nell'occasione affiancato da Ek) ha spiegato che la situazione è migliorata "perché a dirigere le case discografiche oggi è un nuovo gruppo di uomini e donne dalla mentalità più progressiva e convinto della necessità di abbracciare le nuove tecnologie". Ek ha invece precisato il suo punto di vista a proposito dell'attteggiamento degli artisti che (come i Black Keys o Tom Waits) non hanno ancora concesso alla piattaforma i diritti di diffusione del loro repertorio: i pagamenti, ha sostenuto il fondatore di Spotify, sono infinitesimali ma non vanno paragonati a quelli generati dalle vendite di cd o di download perché i modelli di business sono differenti; le royalty che finiscono in tasca agli artisti, ha aggiunto, dipendono dalle case discografiche.