Non sono soltanto gli “hacker” informatici a minacciare il boicottaggio dei sistemi di musica digitale a pagamento che, come MusicNet e Pressplay, cominciano ad affiorare in rete (vedi news): una nuova, concreta minaccia ai progetti on-line delle case discografiche proviene dagli artisti, molti dei quali non hanno gradito per nulla il fatto di essere stati bypassati dalle loro etichette quando si è trattato di decidere contenuti, modalità di funzionamento e metodi di pagamento delle royalty per i servizi di musica digitale. <br> La diatriba si inserisce nel quadro di una vertenza più ampia che da mesi (vedi news) contrappone artisti e case discografiche sul fronte dei rispettivi diritti e doveri contrattuali. Ed ora il lancio dei servizi di sottoscrizione musicale in rete fa emergere una nuova occasione di conflitto, tanto che decine di artisti e manager avrebbero già messo in moto i loro avvocati per diffidare l'utilizzo del loro repertorio sulle succitate piattaforme di distribuzione digitale. Tra coloro che hanno fatto sentire la loro voce attraverso autorevoli organi di stampa come il Los Angeles Times figurano Simon Renshaw di The Firm, la società che rappresenta tra gli altri Dixie Chicks, Korn e Limp Bizkit, e Jim Guerinot di Rebel Waltz (tra i suoi clienti, Offspring e No Doubt): “Nessuno ci ha mai contattato chiedendoci di utilizzare la nostra musica”, ha detto quest'ultimo; “non abbiamo mai avuto una sola discussione con un'etichetta sul modo in cui questi servizi funzionano o su come intendano compensare gli artisti. I contratti prevedono che le etichette chiedano il permesso agli artisti prima di caricare le canzoni sui siti”. Tesi contrastata dai discografici, secondo cui le clausole contrattuali che attengono ai diritti di distribuzione coprono ogni forma di commercializzazione del repertorio, inclusi il download e lo streaming digitale: a meno di specifiche indicazioni che prevedano l'obbligo di un'autorizzazione preventiva da parte dell'artista (per questo motivo, EMI e Warner Music non possono distribuire in rete il repertorio di gruppi come Beatles e Eagles). “Abbiamo i diritti, ovviamente. E quando sappiamo di non averli, non autorizziamo l'uso della musica”, ha ribattuto Zach Horowitz, figura di spicco della discografia USA e presidente di Universal Music, aggiungendo che ogni sforzo per contrastare la musica in rete dovrebbe essere diretto verso i servizi illegali e non nei confronti di quelli legittimi. Molti artisti, però, non sembrano pensarla nello stesso modo e si preparano a dar mandato ai loro legali affinché il loro repertorio sia ritirato dai cataloghi di Pressplay e MusicNet. Anche perché, aggiungono, delle centinaia di milioni di dollari ricavati dalle cause che l'industria musicale ha intentato a siti “fuorilegge” come Napster e MP3.com (vedi news), non hanno ancora visto una lira.