Mentre la Commissione Europea inoltra a Universal Music le sue obiezioni rispetto all'acquisizione degli asset discografici della EMI e per raccogliere ulteriori informazioni la sottocommissione antitrust del Senato americano convoca in udienza soggetti interessati e oppositori della fusione, il merger incassa il suo primo sì ufficiale. A dare il via libera, informa il sito inglese Music Week, sono le autorità neozelandesi, e più precisamente la Commissione Commercio del Paese australe che ha comunicato il suo nulla osta all'operazione a dispetto delle forti obiezioni sollevate, anche in quel territorio, da Warner Music e dalle associazioni che rappresentano le etichette indipendenti. "La Commissione Commercio neozelandese, sotto la guida del presidente dr. Mark Berry, ha intrapreso un processo investigativo molto approfondito, lavorando a stretto contatto con il nostro team legale e con il managing director di Universal Music New Zealdn Adam Holt", ha comunicato un portavoce della casa discografica del gruppo Vivendi. Sulle implicazioni della fusione Universal-EMI i pareri continuano tuttavia a essere divergenti: al New Music Seminar di New York Sean Parker di Spotify (ed ex Napster) ha detto di ritenerla "una buona cosa per un'industria musicale che langue da dodici anni e che ha bisogno di una leadership desiderosa di guidare il cambiamento". Chiamato a testimoniare davanti al Senato statunitense, Martin Mills del Beggars Group ha al contrario ribadito di ritenere che il merger "danneggerà il mercato e intaccherà le possibilità di accesso da parte delle indies e di altre major di minori dimensioni. Si tratta di controllo di mercato, e dell'acquisizione di una posizione di dominanza in termini di market share".