Il governo statunitense pagherà 3,3 milioni di dollari in tre anni (oltre 7 miliardi di lire) agli artisti dell’Unione Europea che non ricevono alcuna royalty dai bar, i negozi e i ristoranti americani che diffondono regolarmente musica nei loro locali. <br> La legge federale statunitense prevede infatti (a differenza di quella europea) l’esenzione di certi locali pubblici dall’obbligo di pagare i cosiddetti “performance rights” (diritti di pubblica esecuzione) ai detentori dei copyright musicali per la riproduzione di musica registrata (vedi news): ma per venire incontro alle richieste delle associazioni di categoria e delle autorità politiche comunitarie, che contro tale norma hanno più volte rigorosamente protestato, gli Stati Uniti hanno accettato di creare un apposito fondo che provvederà a versare l’importo prestabilito nell’arco dei prossimi tre anni, nel mentre i legislatori americani provvedono ad emendare la contestata disposizione di legge. <br> Il compromesso, concordato a Bruxelles dal rappresentante dell’Unione per il Commercio Pascal Lamy con il suo collega americano Robert Zoellick, è subordinato all’approvazione del Congresso statunitense, e fa seguito ad una sentenza emessa lo scorso anno dal WTO, l’organizzazione mondiale per il commercio: quest’ultima aveva sancito l’illegalità della norma americana intervenendo su istanza della Commissione Europea, a sua volta sollecitata a prendere posizione dalla Irish Music Rights Organisation, associazione di categoria irlandese che tutela gli interessi di artisti e musicisti locali. <br> In Italia la riscossione dei diritti di pubblica esecuzione dai locali pubblici è uno degli obiettivi più imminenti inclusi nell’agenda della SCF, la società di “collecting” che rappresenta gli interessi delle case discografiche.