Vale di più un disco o una canzone? O, per dirla in altri termini, a chi spetta la fetta più grossa degli introiti derivanti dalla musica on-line, tra le categorie degli artisti/case discografiche e quelle degli autori/editori musicali? La questione torna al centro dell’attenzione dopo che le organizzazioni degli autori statunitensi ASCAP e BMI hanno inoltrato una nuova memoria all’Ufficio Copyright statunitense, rivendicando una quota di royalty più elevata per i propri associati sui Webcasting e gli altri tipi di sfruttamento della musica in rete. Secondo la tesi sostenuta dalle case discografiche, invece, il primato (e la fetta di guadagni più sostanziosi) spetterebbe alla musica registrata in quanto motore dell’intero mercato musicale ed anche in considerazione del fatto che la maggior parte degli autori di successo oggi incidono regolarmente dischi a proprio nome. Sulla questione, e sui tassi di royalty dovuti all’una e all’altra categoria (nonché alle aziende che ne amministrano i diritti) dovrà decidere al più presto un collegio arbitrale nominato dal governo, il Copyright Arbitration Royalty Panel.