Perché un’industria che occupa più di 115 mila addetti e che è capace di fatturare, nelle sue molteplici ramificazioni, 2,57 miliardi di euro all’anno sconta un divario così grande, in termini di immagine, considerazione pubblica e profilo mediatico, nei confronti dei produttori di pasta e di fibre tessili, settori paragonabili per giro d’affari assurti a simboli di successo internazionale del “made in Italy”? Bella domanda: a cui oggi, 25 febbraio, hanno cercato di rispondere – con varia efficacia - gli stessi operatori, intervenuti ad un incontro che l’Università Bocconi di Milano ha voluto dedicare per l’appunto al tema delle “opportunità inespresse” del mercato musicale. <br> Un mercato, stando alle informazioni raccolte da una ricerca realizzata dall’I-Lab (il centro ricerche sull’economia digitale che opera all’interno dell’ateneo), che nel suo complesso ha pur sempre saputo crescere nel 2000 – ultimo anno “rilevato” - di un altro 2,7 %, a dispetto di una riduzione registrata nell’affluenza ai concerti (- 6,1 %, pari a 377,5 milioni di euro) e della ormai cronica crisi di vendite che deprime il mercato discografico “ufficiale”, controbilanciata però dal sommerso e dal boom di ritorno delle vendite in edicola, protagoniste di un vigoroso balzo in avanti (+ 76,4 %). <br> Luci ed ombre del settore (incremento dell’ordine del 20 % nei diritti di provenienza radiotelevisiva, cresciuti complessivamente a 128,6 milioni di euro; aumento nel numero delle scuole private di musica e della vendita di strumenti musicali; ma anche, dall’altro lato, la permanenza di uno stato di arretratezza economica e culturale che nel contesto europeo continua ad emarginarci in posizioni di retroguardia, con una spesa pro-capite per dischi e strumenti lontana anni luce dai paesi più evoluti) sono emersi con chiarezza dalla presentazione della ricerca, elaborata con il contributo delle associazioni di settore, FIMI, Dismamusica Confcommercio, Coram e RiminiFiera. Altrettanto interessanti le proiezioni che gettano qualche luce in più sui rischi e le potenzialità insite nell’evoluzione della musica in formato digitale (i ricercatori della Bocconi calcolano in 1,9 milioni di persone i “downloader” abituali di nazionalità italiana, numerosi quasi quanto i francesi e gli inglesi, mentre solo un utente Internet su tre scaricherebbe brani dalla rete con l’intenzione di masterizzarli: ma sull’onestà delle risposte fornite dagli intervistati è lecito, in questo caso, dubitare fortemente); ed è confortante e significativo che il prestigioso ente universitario, non nuovo ad iniziative e “contaminazioni” con il business e le arti musicali, abbia voluto mettere a disposizione un’arena di confronto sui temi che animano oggi il settore, dalle difficoltà in cui si dibatte il retail specializzato, ricordate dal presidente di Vendomusica Arnaldo Albini Colombo, alla carenza di promozione scolastica nei riguardi della cultura e del consumo musicale (argomento ripreso dal direttore generale della FIMI Enzo Mazza), dalla proposta di un “bonus” sull’acquisto degli strumenti musicali avanzata da Fabrizio Sorbi di Dismamusica all’appassionata esortazione di Franco Mussida (il chitarrista della PFM che è anche presidente dell’istituto didattico Centro Professione Musica) a dar valore al “fare musica”, inteso come motore propulsivo di tutto il settore. <br> Tutti d’accordo, dunque, sulla necessità di guardare all’industria musicale come ad un sistema unico e interconnesso che necessita di iniziative e interventi coordinati (anche se i litigi di questi giorni tra discografici e promoter farebbero supporre il contrario). Poi, esauriti gli applausi, le strette di mano e le chiacchiere da buffet, il brusco ritorno alla realtà: approfittando del sole primaverile, i venditori ambulanti aspettano gli studenti in pausa pranzo sull’uscio della Bocconi esponendo sul tappetino d'ordinanza tutti i CD novità del momento, in versione – naturalmente – rigorosamente “taroccata”. Tanto per ribadire che l'"altra" industria, quella pirata, non ha nessuna intenzione di mollare la presa.