In un articolo per il Financial Times riguardante l'attuale regolamentazione del mercato bancario Guy Hands, fondatore e presidente di Terra Firma, torna a parlare del periodo in cui era alla guida della EMI, difendendo ancora una volta le sue scelte di allora. "I nostri problemi", sostiene il finanziere britannico nel suo intervento per il quotidiano finanziario, "derivarono dalla tempistica della transazione e non dalla strategia. La nostra tesi che prevedeva un calo di mercato per l'intera industria musicale si dimostrò essere in gran parte corretta". Hands ricorda che "in Terra Firma pensavamo che EMI rappresentasse una grande opportunità di investimento, ed è per questa ragione che ci impegnammo a comprarla nel maggio del 2007 sottoscrivendo un'esposizione così elevata su una singola operazione attraverso due dei nostri fondi. Eravamo convinti che avremmo potuto trasferire parte del nostro investimento ai coinvestitori". "Nessuno immaginava che le condizioni del credito sarebbero cambiate così velocemente e in modo così disastroso", continua Hands. "Siccome era una impresa grande e appariscente, EMI diventò il manifesto di tutte le operazioni finanziarie andate a male (...) Ma come le sue successive prestazioni hanno dimostrato, i nostri piani di trasformazione del suo modo di operare erano efficaci. Sotto la nostra proprietà, la EMI passò dall'avere un cash flow negativo di 150 milioni di sterline all'anno a un flusso di cassa positivo di 250 milioni all'anno; simultaneamente la sua quota di mercato crebbe del 13 per cento in un'industria che si riduceva del 15 per cento. Tuttavia", conclude Hands, "la tempistica della chiusura dell'accordo, nella seconda metà del 2007, significò che non fummo in grado di distribuire tra più parti e di rifinanziare la transazione, e a quel punto Citigroup rilevò il business".