I disinvestimenti richiesti dalla Commissione Europea a Universal ed EMI come condizione indispensabile per l'approvazione della loro fusione sono indubbiamente di notevole entità (la supermajor dovrà rinunciare ad artisti "top" come Pink Floyd, Coldplay, Blur e David Bowie e a dieci filiali europee: nove di EMI e una di Universal, l'Italia è esclusa) ma tutto sommato inferiori a quanto ci si attendeva: secondo le prime stime pubblicate da Music Week, coprono circa il 10 per cento del fatturato combinato e circa il 30 per cento del giro d'affari della EMI. Un'altra specificazione importante rilasciata dalla Commissione Europea riguarda i destinatari della vendita degli asset, che potranno essere acquistati solo da soggetti "già attivi come casa discografica o che siano dotati di una comprovata esperienza nell'industria musicale, per esempio perché si tratta di editori musicali che cercano di entrare o rientrare nei mercati della musica registrata" (e viene subito in mente BMG Rights...); esclusi dunque venture capitalist, finanziarie e imprenditori di altri rami. "In questo modo", spiegano i portavoce dell'Antitrust, "la Commissione si è assicurata che il disinvestimento possa consentire l'emergere di un forte concorrente di Universal" capace di fronteggiarla sul mercato. Universal non potrà neppure rifarsi avanti per acquistare gli asset dismessi o rimettere sotto contratti gli artisti lasciati liberi in tempi brevi: le clausole imposte da Bruxelles e accettate dalla major prevedono un divieto di riacquisto e di rinnovo contrattuale per dieci anni.