L'industria discografica britannica ricava oggi oltre un quinto del suo fatturato annuo, 205,3 milioni di sterline, da fonti di ricavo diverse dai servizi digitali e dalla vendita di cd e dvd ai negozi. Lo rivela uno studio a cura della associazione nazionale dei discografici, BPI, che valuta il giro d'affari complessivo delle voci diverse dal "core business" in misura del 20,5 %. La voce in maggiore sviluppo in questa area di business è quella relativa ai cosiddetti contratti a 360 gradi, che tra incassi da concerti, merchandising e vendita diretta di prodotti su siti di artisti ed etichette ha generato nel 2011 un fatturato di quasi 76 milioni di sterline, il 14 % in più dell'anno precedente. Crescono in maniera decisa, + 11,9 % per 18 milioni di sterline, anche gli introiti generati dalle sincronizzazioni, ovvero dall'utilizzo della musica registrata in film, programmi tv, pubblicità e videogiochi (solo il fatturato di questi ultimi ha subìto una flessione, calando in un anno da 5,4 a 3,6 milioni di sterline), mentre la fetta maggiore di fatturato "extra" per le case discografiche resta imputabile ai diritti generati dalla pubblica esecuzione del repertorio in televisione, in radio, su siti Internet e in locali pubblici, 83,2 milioni di sterline. "La case discografiche britanniche hanno reinventato il loro business per adattarlo all'era digitale, commercializzando e promuovendo musica in modo intelligente attraverso qualunque canale disponibile", ha spiegato il presidente di BPI Geoff Taylor. "Hanno diversificato le loro fonti di entrata creando una solida piattaforma per la crescita futura, nel momento in cui prosegue la transizione verso un business sempre più digitale". "La musica britannica vive un momento felice", ha concluso Taylor, "e le nostre industrie creative hanno un'enorme potenzialità di creare occupazione e crescita economica. A condizione che il governo si metta a contrastare sul serio il furto online dei contenuti".