La società specializzata in analisi finanziaria PrivCO ha sollevato seri dubbi sulla sostenibilità finanziaria del modello adottato da Spotify, affermando che "il rendiconto finanziario di Spotify evidenzia come quanto più la società cresce, tanto più perde… mentre il tasso di crescita di Spotify evidenzia un aumento eccezionale dei ricavi, i suoi risultati finanziari complessivi sono allarmanti". In effetti i ricavi sono cresciuti del 151% nel 2011 mentre il suo conto economico ha mostrato una perdita di 60 milioni di dollari: secondo il CEO di PrivCO Sam Hamade i dati dimostrano che una vera voragine si è aperta nell'azienda svedese, le cui principali cause sono da ricercarsi nei costi esorbitanti delle licenze e del personale. "…Praticamente ogni nuovo dollaro ricavato è finito direttamente nelle tasche delle case discografiche in forma di pagamento di royalty, evidenziando come quanti più nuovi membri Spotify aggiunga, tanto più denaro sia destinata a perdere". La PrivCO sottolinea che almeno nel tentativo di migliorare i propri margini operativi (dando per irraggiungibile la profittabilità nel breve termine) Spotify debba intervenire con urgenza sulla propria struttura dei costi, rinegoziando il costo delle licenze online con label e artisti ed introducendo nel contempo un sistema di abbonamento a più livelli che sostituisca quello attuale basato su una tariffa mensile fissa, che si è dimostrata chiaramente incapace di supportare un modello di business funzionante. Significativo come, nel frattempo, l'industria finanziaria e quella musicale paiano non condividere appieno tanto allarmismo, se è vero che è stata confermata l'iniziezione di capitale per 130 milioni di dollari da parte del magnate russo Lev Blavatnik in Deezer, diretto e meno illustre concorrente di Spotify.