E' un dibattito infinito, quello che contrappone chi afferma che i "pirati digitali" distruggono il mercato discografico a chi sostiene che il file sharing e il download illegale sono anche propedeutici all'acquisto di musica (e che dunque le cause della crisi delle vendite vanno ricercate altrove). A questa seconda corrente di pensiero si accoda ora una ricerca condotta dalla American Assembly, ente collegato alla Columbia University di New York che ne ha fornito alcune anticipazioni sul suo sito in attesa della pubblicazione del documento completo. Lo studio, intitolato "Copy culture in the US and Germany" ed elaborato sulla base di sondaggi telefonici, contrasta alcune credenze comuni (condividere musica tra amici e familiari duplicando cd o scambiandosi file archiviati sul pc - cioè la cosiddetta copia "offline" - sarebbe una modalità di accesso alla musica diffusa quasi quanto il download e il file sharing illegale) e conferma alcune tendenze prevedibili: tanto negli Stati Uniti che in Germania, i due Paesi presi in considerazione, gli utenti P2P dispongono di collezioni digitali più estese degli altri utenti Internet (circa il 37 % in più negli Usa, una media di 1979 file pro capite contro 1264). In quel totale rientrano non solo i file scaricati gratuitamente dalla rete, copiati da amici e parenti o duplicati da cd ma anche quelli regolarmente acquistati sui negozi di musica digitale: e secondo il ricercatore Joe Karaganis i file sharer acquistano legalmente musica digitale in misura significativamente maggiore rispetto agli utenti Internet che non usano le reti P2P: circa il 30 % in più, negli Stati Uniti. "I nostri dati", scrive Karaganis, "sono piuttosto chiari su questo punto e si allineano ad altri numerosi studi: i maggiori pirati sono anche i maggiori acquirenti di musica registrata".