Pippo Baudo e Fabio Fazio, ovvero il presente e il passato prossimo dell'evento musical-nazional-popolare per eccellenza, la pensano in modo diverso a proposito delle polemiche che, quest'anno più che mai, infuriano intorno al festival più amato e più odiato dagli italiani. <br> Rockol li ha sentiti entrambi nei giorni scorsi, per conoscere le loro opinioni in merito al braccio di ferro tra discografici, Rai e Comune di Sanremo che rischia di far saltare o quantomeno di svuotare di contenuti l'edizione 2003 della kermesse. E ne ha raccolto riflessioni, dichiarazioni e prese di posizione spesso divergenti, come la natura e i ruoli diversi dei due personaggi facevano del resto facilmente presagire. Uno, Baudo, parla di Sanremo con i toni diplomatici e “istituzionali” del gran timoniere chiamato a navigare in acque, se possibile, ancora più agitate del solito (ma non manca di sferzare quelli che reputa, evidentemente, malvezzi cronici della nostra discografia). L'altro, Fazio, lo fa con la lingua sciolta e pungente di chi, essendo fuori dal carrozzone, non ha nulla da perdere e vuole ancora togliersi qualche sassolino dalla scarpa. <br> Con Baudo l'inizio non è dei più incoraggianti (“Pronto, è Rockol che parla”. “Allora deve avere sbagliato numero”... un giorno o l'altro qualcuno dei suoi collaboratori gli spiegherà che da qualche tempo esiste anche su Internet un autorevole quotidiano che si occupa di faccende musicali, e che a volte - vedi stavolta - è prima e meglio informato dei suoi “soliti” amici della carta stampata), ma poi SuperPippo si rilassa e non si fa pregare per dire la sua, tessendo le lodi di mamma Rai e della sua nuova dirigenza. Annuncia (vedi news) che la nuova troika di vertice (il presidente Antonio Baldassarre, il direttore generale Agostino Saccà e il direttore di rete Fabrizio Del Noce) è pronta a ricevere i discografici nei primi giorni di questa settimana per discutere della vexata quaestio, e fa capire di avere svolto un ruolo essenziale di mediazione per accelerare i tempi dell'incontro. “Speriamo che ne venga fuori qualcosa di produttivo” sospira il direttore artistico, che non risparmia però le critiche al mondo della canzone. “Se il mercato musicale va male non è mica colpa di Sanremo. La discografia ha le sue belle responsabilità: per il prezzo dei CD, che è eccessivo; e per la scelta di un repertorio sbagliato che porta a pubblicare dischi che contengono al massimo un pezzo di valore. Noi, io e la Rai, non possiamo farci nulla, e bisogna che si muovano loro: le case discografiche, che sono aziende private, non possono invocare l'assistenzialismo, devono inventarsi formule moderne per risalire la corrente”. Che ne pensa dunque, il direttore artistico, della presa di posizione dei manager della musica, che della copertura totale delle spese festivaliere da parte di Rai e Comune hanno fatto la linea Maginot della loro battaglia? “La Rai dà già un contributo sostanzioso, e si può fare in modo di prevedere qualche altra forma di aiuto. Ma che i costi se li assuma tutti la TV pubblica è impensabile: la discografia, ripeto, è un'industria e deve prendersi i suoi rischi d'impresa. Altrimenti sarebbe come se la Fiat pretendesse vendite garantite per le sue automobili prima ancora di cominciare a produrle. E poi” – aggiunge - “non si risolve così il problema che sta alla fonte: quando i dischi vendono non ci si preoccupa se una camera d'albergo costa qualche centinaio di euro in più o in meno. Ragionare di piccole cose rischia di far perdere di vista il problema più grande, che è quello della crisi discografica. Negli Stati Uniti si arriva al punto di pagare Mariah Carey perché non pubblichi dei dischi. E anche in Italia, non dimentichiamolo, abbiamo dei cantanti che hanno contratti discografici miliardari e minimi garantiti esagerati: è tutto il meccanismo industriale che va riordinato e ripensato”. <br> Che Sanremo non sia la panacea per la ripresa del mercato musicale lo pensa anche Fabio Fazio, che Rockol ha raggiunto telefonicamente a Parigi: “Allo stato attuale delle cose, è impensabile che le case discografiche continuino a pensare che l'equazione passaggio sanremese-vendite assicurate sia infallibile: Tiziano Ferro, ad esempio, non è stato a Sanremo ma attualmente è nei primi posti delle classifiche francesi”, riflette il presentatore delle edizioni 1999 e 2000. Che poi allarga la visuale: “A Sanremo, la gara dovrebbe trasformarsi in un pretesto per la realizzazione di un grande evento, non tanto in una kermesse promozionale per vendere più dischi. Per i nostri cantanti potrebbe anche rappresentare la tappa di un progetto a lungo termine, di un investimento della casa discografica. Occorre tornare, come si faceva tanti anni fa, a lavorare sugli artisti, non solo sul Festival: il pubblico deve affezionarsi, deve amare il disco "sanremese" come parte della storia dell'artista che stima. In questa maniera il concetto di 'vetrina Sanremo' avrebbe un senso”. <br> Intanto, facciamo notare a Baudo, neppure i suoi tentativi di scuotere il mercato discografico attraverso Sanremo hanno prodotto gli effetti sperati. Ma lui non ci sta: “Dia un'occhiata alle classifiche, e si accorgerà che l'edizione di quest'anno è stata un successo. Gianluca Grignani, Alexia, Daniele Silvestri, Francesco Renga: scovare quattro personaggi nuovi in un solo festival è tutto grasso che cola; di solito da Sanremo emergevano al massimo due pezzi importanti, e quest'anno è andata decisamente meglio. Tutto, poi, va misurato in proporzione al mercato: oggi se vendi 50 mila dischi ti danno il disco d'oro, una volta al massimo ti prendevi un applauso in più”. Nessun ripensamento, col senno di poi, su come ha condotto il Sanremo 2002? “No. Lo rifarei esattamente allo stesso modo. Ma il Festival, è chiaro, resta una creatura in continua mutazione: tutto quanto, regolamenti e giurie, si può sempre modificare e migliorare”. <br> Fazio, invece, resta fedele alla sua idea di un festival diverso, antitradizionalista: “Dovrebbe diventare un evento televisivo, invece che un semplice programma televisivo. Tra le due cose esiste una differenza sostanziale: nel secondo caso si produce una trasmissione che, grazie alla sua enorme audience, è in grado di accumulare spot, promozioni ed altre cose non direttamente inerenti alla canzone; nel primo, un evento che si valorizza non solo dal punto di vista commerciale ma anche artistico. Ho sempre pensato che Sanremo potesse diventare per la musica un vettore talmente formidabile, talmente glamour (come i grandi festival del cinema), da poter rappresentare in qualche modo un marchio di garanzia per gli artisti e i prodotti che vi partecipano. Bisognerebbe cambiarne l'immagine kitsch e trasformarla in un sigillo di qualità. E' quello che ho cercato di fare nelle due edizioni che ho condotto: il primo anno dando uno scossone alla formula classica, il secondo chiamando come testimonial una personalità artistica del calibro di Pavarotti”. <br> Parlare delle formule festivaliere ci porta all'altra questione cruciale sollevata ultimamente dalla FIMI, l'associazione di categoria dei discografici che minaccia (vedi news) di disertare in massa la manifestazione l'anno prossimo: è immaginabile un festival che abbia luogo altrove? E l'amministrazione comunale di Sanremo 'si merita' un evento come questo? <br> Sanremo è come Cannes, ha dichiarato Baudo nei giorni scorsi alle agenzie: il festival della canzone italiana non può cambiare sede. E al telefono con Rockol ribadisce il concetto: per quanto, gli facciamo notare, i discografici non hanno forse tutti i torti quando lamentano che tutto a Sanremo, dal Teatro Ariston in giù, non sembra più adeguato ad un evento di tale portata. “Sull'Ariston non sono d'accordo. Se invece si parla di strutture alberghiere è vero, qualcuna è obsoleta: ma, ripeto, non attacchiamoci a questo, noi dobbiamo pensare a salvare le sorti della canzone italiana. Mi fa un po' ridere l'idea di un festival della canzone a Jesolo o a Roccacannuccia. Roma? Ci hanno provato un sacco di volte, all'Hilton, ed è stato un insuccesso. Quanto a Venezia, chi si ricorda della Gondola d'Oro? Sanremo è conosciuta in tutto il mondo, è come l'Isola di Wight”. <br> E che ne pensa invece Fazio? “Bisogna distinguere: se il problema è quello di far vendere i dischi, allora come sede suggerisco Lourdes. Ma, scherzi a parte, non è la 'location' che può miracolare il mercato discografico. D'altra parte oggi al festival prevale ancora una mentalità molto anni Settanta, soprattutto all'interno delle istituzioni cittadine che lo vedono come un'occasione meramente promozionale. Per fare pubblicità alla città di Sanremo non è necessario organizzare un festival: lo spreco di energie, rispetto ai fini, è enorme. Una città che vorrebbe avere un festival per promuoversi dovrebbe pagarlo a peso d'oro: non è Sanremo città che porta lustro al festival, ma il contrario”. Sicuramente questa sua opinione non lo avrà reso simpatico alla giunta ligure: “E infatti il sindaco di Sanremo mi ha tolto il saluto. Io sono onorato della sua disistima, perché nonostante tutto credo di aver reso un grande servigio al festival, alla regione Liguria e alla città stessa. Ho cercato di aggiungere alla manifestazione un plusvalore di portata nazionale: trovo ridicolo organizzare un festival per mettere in risalto la bellezza delle aiuole e del lungomare sanremese quando al mondo esistono posti altrettanto suggestivi. Il vero valore di Sanremo è di carattere culturale, e consiste nel detenere la storia della canzone italiana. Tutto ciò non ha senso quando a un direttore artistico vengono imposte delle immagini da cartolina da inserire nella diretta: pensiamo davvero che questo rappresenti un'attrattiva per gli ospiti internazionali, che oggi come oggi possono andare ovunque e certamente non aspettano le lusinghe di Sanremo”? <br> Questo il Fazio-pensiero. Intanto, però, il pallino è in mano a Baudo, che ostenta fiducia e ripropone la sua ricetta scacciacrisi: “Lasciamo Sanremo dov'è, diamo di più ai discografici ma non roviniamo l'altare con tutti i suoi santi. Ci metteremo d'accordo anche stavolta, glielo assicuro: alla fine sarà la buona volontà a prevalere”.