Le prime pagine dei quotidiani nazionali ed internazionali riportavano ieri (mercoledì 3 luglio) le drammatiche notizie relative all'ennesimo tracollo in Borsa subìto dal gigante mediatico francese (- 46,55 % a Wall Street, - 40,9 % a Parigi, con parziale ripresa a – 25,52 % a termine delle contrattazioni), cui non è bastato offrire sul piatto la testa dell'amministratore delegato Jean-Marie Messier (dimissionario in queste ore) per riconquistare la fiducia di azionisti e creditori fortemente esposti come Deutsche Bank e Bnp Paribas. <br> Mentre il discusso capitano abbandona la tolda di comando augurandosi che l'azienda resti saldamente in mani francesi (proprio lui, che era stato accusato di alto tradimento e di voler “americanizzare” la società transalpina), osservatori ed investitori cominciano ad interrogarsi sugli effetti a largo raggio dello shock finanziario sofferto da Vivendi nonché sulle misure di emergenza che Jean-René Fourtou, successore designato ad interim di Messier, dovrà prendere per cercare di tamponare la voragine dei debiti (compresi tra i 9 e i 29 miliardi di €, a seconda delle fonti) gravante sui bilanci aziendali: che oltretutto, secondo indiscrezioni riportate da Le Monde e subito smentite dall'azienda, sarebbero stati truccati con la complicità dei revisori per evitare di pubblicare un conto economico in rosso (il presunto scandalo riguarda l'occultamento in bilancio di un miliardo e mezzo di € legati alla vendita di azioni nella TV BskyB)<br> Sembra certo che Fourtou, o chi per lui, riceverà il mandato di tagliare, liquidare e vendere rami d'azienda poco produttivi o rapidamente convertibili in liquidità (altre quote di Vivendi Environnment, la società che si occupa di ambiente e di gestione dell'acqua potabile? Le partecipazioni in alcune emittenti TV o in imprese on-line di scarso successo come il portale Vizzavi?): e qualcuno già si domanda se tra questi possa rientrare anche la divisione discografico-musicale, dove Vivendi opera con il marchio Universal Music. Difficile immaginarlo allo stato attuale, dal momento che proprio musica e cinema sono il settore di provenienza e di cruciale interesse per la famiglia Bronfman, massima oppositrice della politica di Messier e detentrice delle quote di maggioranza nel consiglio di amministrazione. Ma certo le ripercussioni di una condizione finanziaria pesantemente compromessa, a livello di holding (qualcuno parla già di bancarotta...) potrebbero farsi sentire eccome sulle attività musicali del gruppo, che già lo scorso anno – a differenza del cinema – hanno vissuto una stagione poco brillante a livello mondiale, siglata da una flessione dell'1 % nel fatturato per un valore di 6,560 miliardi di €. Ciò malgrado, con quote di mercato oscillanti, a seconda dei paesi, tra il 25 e il 35 %, Universal resta la leader incontrastata del mercato musicale, presente in 63 paesi e con oltre 12 mila dipendenti nel mondo. Sembrava a prova di bomba, fino a qualche mese fa: e invece, come altre major della musica, forse è seduta su una polveriera.