Anche il “risparmio di spesa” rientra nel concetto di profitto, ed è pertanto perseguibile penalmente nel caso di attività che violano i diritti d'autore: è in base a questo ragionamento, come si legge dal dispositivo della sentenza depositata in questi giorni, che il Tribunale di Torino ha condannato nel febbraio scorso (a quatto e cinque mesi di reclusione, rispettivamente) due studenti del Politecnico che utilizzavano la rete informatica dell'università per scambiare illegalmente con l'esterno materiali protetti da copyright.<br> Le indagini della polizia giudiziaria, sezione crimini informatici, erano state istigate dal responsabile dell'IT del Politecnico, insospettito dal volume di traffico che soprattutto nelle ore notturne congestionava il server dell'università, e avevano permesso di verificare che i due allievi dell'ateneo torinese utilizzavano un pc installato in sede e fornito in dotazione ad un'associazione studentesca come server FTP per lo scambio e la distribuzione illegale di programmi informatici, file musicali MP3, giochi per Playstation e video CD contenenti copie di pellicole cinematografiche (all'epoca dei fatti, il danno economico dei traffici illegali era stato valutato in 30/35 milioni di vecchie lire). <br> La rete di distribuzione funzionava con un meccanismo di “crediti” e di scambi alla pari: per poter prelevare contenuti dal network, a cui accedevano tramite password segreta anche cittadini di altri stati, era preventivamente necessario caricare altri dati o programmi in modo da consentire al sistema di autoalimentarsi a costo zero e senza scambio di denaro. I giudici torinesi hanno deciso per la condanna dei due imputati ravvisando un rischio di “creazione di circuiti di distribuzione illegali e paralleli a quelli utilizzati dai titolari del diritto protetto”: ma la questione non è chiusa, naturalmente, perché i legali dei due studenti si preparano a presentare appello.