Destini stranamente paralleli, quelli di Thomas Middelhoff e di Jean-Marie Messier, numeri uno in disgrazia di Bertelsmann e Vivendi Universal. <br> In poche settimane, i due manager più ambiziosi, estroversi (anche con la stampa), imprevedibili ed egocentrici del mondo aziendale che ha a che vedere con la musica e l'intrattenimento globalizzato sono stati sfiduciati e messi fuori gioco dai loro azionisti di riferimento per motivi sostanzialmente simili: divergenze “culturali” e d'opinione con i propri mandanti, smanie eccessive di protagonismo e di investimento, grandeur strategica non ancorata a concrete, realistiche aspettative finanziarie. Tanto che la loro estromissione pressoché simultanea assurge quasi a simbolo del ritorno di un atteggiamento assai più conservatore e prudente, nella gestione delle grandi corporation multinazionali (e non è un caso che la posizione di un altro dei grandi protagonisti della stagione, vicinissima e al tempo stesso lontanissima, dei grandi “merger” multimilionari, Steve Case di AOL Time Warner, venga considerata anch'essa a rischio dopo che la stessa società ha “liquidato” il responsabile operativo Robert Pittman). <br> Ma torniamo a Middelhoff: il manager tedesco si è visto costretto a presentare in fretta e furia le sue dimissioni domenica scorsa, 28 luglio, dopo che a seguito di un meeting tempestoso il consiglio di amministrazione di Bertelsmann ha deciso di non rinnovargli la fiducia criticandone aspramente lo stile e le scelte di direzione: il comunicato ufficiale diramato nella circostanza parla di “differenze di vedute tra l'amministratore delegato e il comitato di supervisione circa la futura strategia di Bertelsmann e la cooperazione tra lo stesso comitato e il management”. L'establishment tradizionale del gruppo tedesco, capeggiato dall'ottantenne Reinhard Mohn (numero uno del principale azionista del gruppo, Bertelsmann Foundation) e legato alle sue radici storiche di editore librario, si sarebbe trovato progressivamente a disagio rispetto alla spregiudicatezza con cui Middelhoff stava manovrando per trasformare la multinazionale in una delle leader mondiali nel settore della musica, della televisione e di Internet. Tutto bene, o quasi, finché gli investimenti del mercato pubblicitario hanno tenuto: ma poi, con il sopraggiungere della crisi, i 4 miliardi di dollari spesi per acquisire la quota di maggioranza nel colosso televisivo europeo RTL e i 3 miliardi di dollari messi a bilancio per acquisire la piena proprietà del gruppo musicale Zomba (senza tener conto dei prestiti a Napster….) devono aver fatto traboccare il vaso colmando la misura che i grandi vecchi del gruppo erano disposti a sopportare. <br> Con l'uscita di scena del giovane Middelhoff (49 anni), in carica dal 1998, si apre per Bertelsmann una nuova era contrassegnata presumibilmente, da mosse e comportamenti meno eclatanti: come Jean-René Fourtou, il sostituto di Messier, anche il nuovo ceo della casa tedesca, Gunther Thielen, 60 anni, capo della divisione servizi per i media Arvato e amministratore della stessa Bertelsmann Foundation, sembra promettere più realpolitik e meno titoli sui giornali, più accortezza economica e meno azzardi: è davvero iniziato un nuovo ciclo?