L'idea dei grandi “merger” aziendali non è più di moda, dopo i fatti recenti che hanno trascinato sull'orlo della bancarotta le maggiori multinazionali dell'intrattenimento e della comunicazione? Non per Richard Parsons, nuovo numero uno del colosso americano AOL Time Warner, che in un discorso indirizzato ad operatori dell'industria e trasmesso da una stazione televisiva americana, martedì 10 settembre, ha rilanciato un'idea vecchia di due anni ed evidentemente mai abbandonata: quella della fusione con la britannica EMI, ai tempi fallita per gli ostacoli frapposti dall'Antitrust. <br> “Per me resta un'operazione potenzialmente brillante”, ha sentenziato il manager nero-americano che ha sostituito Gerry Levin a capo del colosso multimediale statunitense. “Viviamo nella speranza, e il nostro atteggiamento ci induce a non rinunciare mai”. <br> Ad alimentare le sue speranze, secondo gli analisti di settore, potrebbe intervenire il mutato atteggiamento da parte degli organi internazionali che tutelano la concorrenza: sarebbero venute meno, nel nuovo contesto di mercato e nell'orientamento della giurisprudenza, le condizioni che avrebbero fatto di una società combinata EMI-Warner una realtà in grado di esercitare un condizionamento eccessivo su un panorma discografico ed editoriale i cui attori chiave si sarebbero ridotti da cinque a quattro (major). Nel suo discorso, Parsons ha fatto capire di essere alla ricerca di contenuti “forti” per rilanciare le quotazioni della divisione Internet e di America Online, il cui giro d'affari è in declino per effetto della perdurante recessione del mercato pubblicitario: con i servizi base di Internet destinati sempre più ad un'offerta gratuita, ha detto Parsons, per sopravvivere e prosperare AOL dovrà trasformarsi in qualcosa di simile al canale via cavo HBO: offrendo contenuti e programmazione a plusvalore per cui gli utenti siano disposti a pagare un canone di abbonamento (ed espandendosi oltre frontiera, dato che il mercato USA è ormai saturo). <br> Le risorse di EMI entreranno a far parte di questo quadro generale, tenuto conto delle aperture del governo Blair che sembrano dischiudere nuove opportunità agli investimenti americani sul suolo britannico? Parsons ritiene evidentemente di sì, anche se aggiunge che i prezzi – troppo alti – devono scendere se gli inglesi vogliono stuzzicare gli acquirenti esteri a farsi avanti. I vertici della casa discografica britannica, da parte loro, non commentano.