La guerra ingaggiata dai produttori musicali e cinematografici per la protezione dei file digitali su Internet fa un salto di qualità entrando in una nuova fase critica. Non ci sono più solo i “fuorilegge” del Web come KaZaA, Grokster e MusicCity, infatti, nel mirino dell’industria americana dell’intrattenimento (che contro i siti citati ha appena richiesto ai giudici un’ingiunzione di stop immediato, prima che inizino i processi), ma anche Internet provider prestigiosi e perfettamente legali come Verizon: che l’associazione dei discografici RIAA ha a sua volta trascinato di fronte ad un tribunale americano per costringerlo a rivelare il nome di un cliente che, a suo dire, gestirebbe un nodo nevralgico di raccolta e distribuzione di materiale piratato in rete. La frattura si è verificata quando, qualche mese fa, il gigante USA delle comunicazioni aveva replicato alla richiesta con un secco no, sostenendo di non potere e volere violare la privacy dei suoi utenti. “Non siamo i poliziotti delle case discografiche”, hanno reagito i portavoce della società, ricordando la collaborazione fornita negli ultimi quattro anni all’industria musicale nel bloccare i siti Web che illecitamente consentivano lo scambio illegale di musica e immagini su Internet. Ora però il provider si rifiuta di andare oltre e di seguire le major musicali nel loro tentativo di colpire singolarmente, uno per uno, i consumatori privati che promuovono massicciamente il file sharing non autorizzato in rete, oggi che i sistemi peer-to-peer che permettono ai pc dei singoli utenti di dialogare direttamente hanno soppiantato i server centralizzati di distribuzione illegale. <br> “Mettere a disposizione in rete la propria collezione privata di musica senza possederne i diritti è un’attività illegale”, ha ribadito il presidente della RIAA Cary Sherman, ricordando che chi viola la legge rischia multe comprese tra i 200 e i 150 mila dollari alla volta. Al centro della disputa che i tribunali dovranno risolvere è la diversa interpretazione della legge 1998 sul copyright che esenta i provider da ogni responsabilità legale per i contenuti trasmessi in rete quando cooperino fattivamente a rimuovere le cause dell’attività illecita. Cosa che, secondo Verizon, non può spingersi al punto di rivelare i nomi dei singoli utenti a cui si ricollegano gli indirizzi Internet e i pc individuati dall’attività di “polizia” delle case discografiche: anche perché, sostengono i tutori del garantismo on-line, in alcuni casi tali indirizzi fanno capo a reti wireless, a Internet cafè, a librerie o persino a computer domestici per cui risulta difficile individuare con certezza la persona che ha realmente commesso l’eventuale reato. <br> Ne consegue che, un tempo alleate nella lotta alla pirateria digitale, le due fazioni sono ora arroccate su posizioni decisamente conflittuali: Hollywood contro Silicon Valley, hanno già titolato alcuni giornali americani, mentre nella vertenza pilota che inizia in questi giorni contro Recording Industry Association of America e “studios” cinematografici associati alla MPAA si è già schierato un gruppo di 300 Internet provider appoggiati da alcuni movimenti per la tutela dei diritti civili.