Altro che vittima del nazismo. Bertelsmann, attiva in Germania dal 1835 come editore di di inni, preghiere e altre pubblicazioni a contenuto religioso, approfittò dell'ascesa di Adolf Hitler per diventare l'organo di stampa di fiducia del regime, ricevendone in cambio benefici politici ed economici. Non solo: le sue stamperie dislocate in città dell'Est europeo come Vilnius (Lituania) e Riga (Lituania) impiegarono manodopera ebrea in condizioni di schiavitù, e il suo direttore di allora, Heinrich Mohn, fu un finanziatore e sostenitore convinto delle famigerate SS. <br> Verità scomode e scioccanti, che oggi emergono come risultato di un'inchiesta che la stessa Bertelsmann ha voluto organizzare quattro anni fa per far luce sulle insinuazioni apparse all'epoca sulla stampa nazionale, affidandone la conduzione allo storico israeliano Saul Friedlaender. E che oggi obbligano a imbarazzate pubbliche scuse l'attuale numero uno della casa tedesca, Gunter Thielen. “Il nostro obiettivo era di portare a galla la verità e di imparare dagli errori che abbiamo commesso in passato”, ha scritto Thielen in un comunicato stampa diramato lunedì, 7 ottobre, aggiungendo che l'intero contenuto del dossier messo insieme da Friedlaender e dal suo team, 800 pagine, sarà messo a disposizione del pubblico. <br> Dal materiale raccolto dagli investigatori risulta che, ai tempi del nazismo, la società non impiegò in nessuna occasione "schiavitù" ebrea presso i suoi quartieri generali di Guetersloh, in Germania, ma che nell'area del Baltico altre stamperie appartenenti al gruppo reclutarono forzatamente manodopera sottopagata di origine semita, deportandola dai ghetti in cui era stata confinata. “Non sappiamo se i vertici di Bertelsmann ne fossero a conoscenza”, ha spiegato uno degli autori dell'inchiesta, Reinhard Wittmann. “Sappiamo però che c'erano schiavi in quelle fabbriche, e che Bertelsmann le utilizzava per stampare i suoi libri”. I quali – aggiungono i ricercatori – sull'onda di una produzione che durante gli anni della guerra toccò i 19 milioni di volumi, divennero uno dei più potenti e diffusi strumenti di propaganda bellica e antisemita del regime nazista, diffondendo contenuti “razzisti e anti-bolscevichi” attraverso pamphlet indirizzati ai giovani, manuali e pubblicazioni destinati ai soldati al fronte e volumi come il “Libro di Natale della gioventù hitleriana”. <br> Tutto il contrario di quanto sostenuto fino ad oggi da alcuni portavoce di Bertelsmann: che citavano la radicata educazione cattolica e i presunti sentimenti antinazisti di Mohn per spiegare la temporanea chiusura delle fabbriche avvenuta nel 1944 e che fu dovuta invece, presumibilmente, alle condizioni in cui versava l'economia tedesca sul finire della seconda guerra mondiale. Ai tempi, quella che oggi viene ritenuta una tesi senza fondamento (e che la società stessa rammentò pubblicamente quando, nel 1998, divenne il maggior editore librario degli USA in seguito alll'acquisizione dell'editore Random House) risultò assai utile a Bertelsmann: che sulla base della sua presunta fede antinazista non fece fatica ad ottenere una nuova licenza di pubblicazione dal governo di occupazione alleato, rifacendosi in pochi anni una faccia pulita.