Per i discografici, a quanto pare, è arrivato il momento di lavare i panni sporchi in pubblico. Di qua e di là dell'Atlantico è tutto un fiorire di autocritiche e di mea culpa, tra coloro che reggono le sorti del business musicale. Il primo è stato il magnate canadese Edgar Bronfman Jr., che ha accusato i suoi successori in Universal di averne dilapidato avventatamente il patrimonio in pochi anni. Poi è arrivato Piero La Falce, numero uno italiano della stessa major, che in un recente incontro con i media ha ammesso che sì, la discografia è come un esercito allevato in tempo di pace e non addestrato alle guerre di trincea. Ed ora tocca ad un altro pezzo grosso della major leader mondiale del mercato (un caso?), il rispettatissimo Lyor Cohen a capo del gruppo di etichette Island Def Jam. Che in un'intervista appena pubblicata dal settimanale americano BusinessWeek spara a zero sulla sua categoria. “La nostra industria – sintetizza Cohen, che evidentemente non ha tra le sue doti la diplomazia – è governata da pachidermi letargici e incompetenti, e questo è il primo motivo per cui oggi siamo nei guai”. Ma non è colpa della pirateria e della musica gratis su Internet, gli domandano i suoi intervistatori? Neanche per sogno, risponde Cohen: “Non è rivolgendoci ai tribunali che otterremo la risposta. E' meglio che cominciamo ad ascoltare i ragazzi e a comprendere cosa vogliono veramente”. Lui, evidentemente, pensa di averlo capito: a dispetto di tutto, il suo budget annuale è del 25 % superiore a quello dell'anno scorso.