<i>Pippo Baudo è nato a Militello, in provincia di Catania, il 7 giugno del 1936. Laureato in legge, si dedica alla carriera di presentatore dalla fine degli anni '50; al 1966 risale il primo successo televisivo con il programma musicale “Settevoci”, in onda la domenica pomeriggio. Da allora il suo curriculum professionale mette in sequenza una lunga catena di spettacoli televisivi di argomento musicale (e dunque altrettante occasioni di frequentazione con il mondo discografico): tra i tanti, Canzonissima (di cui conduce la prima edizione nel 1972), Senza Rete (1974), La canzone del secolo (per Mediaset, nel '98) e naturalmente il Festival di Sanremo, a cui il nome di Baudo è ormai indissolubilmente legato, come conduttore e ora anche come direttore artistico. Il debutto avviene nel 1968 (anno cruciale, che segue il suicidio di Luigi Tenco), e ad esso fanno seguito le edizioni dell'84, '85, '87, quelle comprese tra il '92 e il '96 e quella del 2002. Sarà ancora lui a condurre e a curare la gestione artistica del Festival 2003, in programma dal 4 all'8 marzo prossimi. </i><br><br><br><br> <b>Come uomo di televisione lei è certamente più abituato a confrontarsi con i dati dell'Auditel, piuttosto che con quelli delle classifiche dei dischi. Ci vede qualche analogia, tra i due sistemi?</b><br> Non saprei. Però ogni tanto mi domando se i risultati di vendita e le classifiche che vengono rese pubbliche siano davvero autentiche. Ho il sospetto, a dire il vero, che ci sia qualche manipolazione anche perché oggi il mercato è in crisi e la distribuzione dei dischi molto carente: parecchi negozi stanno chiudendo, e il disco non riesce a trovare il modo di raggiungere il pubblico di massa.<br><br> <b>Dunque una classifica più veritiera dovrebbe tenere conto, secondo lei, anche di quel che succede in altri punti vendita?</b><br> Indubbiamente, perché i dischi bisogna portarli un po' dappertutto. Oggi i negozi che contano sono tutti nel Centro Nord; nel Sud l'offerta, e conseguentemente le vendite, sono molto più limitate. Ci sarebbero le edicole, per esempio, che oggi non vendono più soltanto giornali…Il disco va portato dove c'è il pubblico, presso gli esercizi commerciali che la gente frequenta più assiduamente.<br><br> <b>Risulterebbe poi difficile, rilevare le vendite in decine di migliaia di edicole italiane…</b><br> Le società di indagini di mercato esistono per questo: sono loro a dover costruire dei campioni attendibili.<br><br> <b>Da cosa è alimentato, il suo sospetto nei confronti delle classifiche attuali?</b><br> Penso, per fare un esempio, a tutti quei dischi che esordiscono al primo posto e poi improvvisamente scivolano indietro di quattro, cinque posizioni, all'altalena continua dei numeri uno. Mi sembra che ci siano poche informazioni certe a proposito di chi ha veramente successo: e certi numeri uno della classifica io, in giro, non li sento mai. <br><br> <b>Questo significa forse che la classifica non rappresenta l'unico strumento per misurare la popolarità di un brano musicale?</b><br> Tutti i sistemi invecchiano. Sta succedendo con l'Auditel, che è soggetto a critiche sempre più insistenti, e forse lo stesso vale per le classifiche dei dischi.<br><br> <b>In Rai qualcuno ha pensato di misurare anche le vendite pirata, per determinare la popolarità di un disco…</b><br> E' solo una provocazione. E' un sistema senza fondamento: che facciamo, andiamo a chiedere agli extracomunitari quali sono i dischi che vendono di più?<br><br> <b>Non ha l'impressione che alle classifiche, proprio come all'Auditel, si attribuisca fin troppa importanza? Che finiscano per influenzare in modo fin troppo preponderante la produzione musicale come le statistiche sugli ascolti fanno con la programmazione televisiva?</b><br> Non c'è dubbio. Le classifiche servono a quello: a segnalare qual è la musica che ha successo e che si vende. E dunque il suggerimento che danno è di conformarsi a quella tendenza. Il risultato è che tutti sono spinti a fare lo stesso prodotto. Il che, sotto il profilo della qualità e della varietà artistica, non è certamente un bene. Ogni rilevazione, secondo me, dovrebbe avere un valore puramente orientativo: non bisogna prenderla per oro colato. <br><br> <b>Resta il fatto che questo è un sistema che oggi orienta non soltanto la produzione discografica ma anche la costruzione di certi programmi televisivi: non solo Top Of The Pops, che ha nelle classifiche il suo fondamento, ma anche il Festivalbar…</b><br> Io mi comporto diversamente, nello scegliere gli artisti da portare in trasmissione mi affido al gusto personale e alle esigenze del programma. E il rapporto causa-effetto, tra hit discografiche e trasmissioni di successo, non è sempre così meccanico: non mi risulta che le compilation del Festivalbar abbiano venduto molto, quest'anno. <br><br> <b>Però anche lei le guarda, le classifiche: soprattutto quando si tratta di valutare i risultati del Festival di Sanremo…</b><br> Io desidero che Sanremo non muoia: e perché questo non succeda occorre che i dischi si vendano e che quindi, automaticamente, vadano in classifica. Certo che le guardo le classifiche dei dischi, danno indicazioni interessanti su dove va il gusto popolare: ma non le uso come strumento di lavoro. <br><br> <b>La chart ufficiale del settore, quella realizzata dalla Nielsen, è commissionata e finanziata dalla maggiore – ma non unica – associazione di categoria dei discografici, la FIMI. Lei lo ritiene giusto, o sarebbe auspicabile che tutto il processo si svolgesse super partes?</b><br> Non ho motivi di dubitare della correttezza della Nielsen. E qualcuno la deve pur pagare, la classifica. <br><br> <br><br><br> <b> Chi desidera commentare il contenuto di questa notizia può scrivere a <a href="mailto:inchieste@rockol.it">inchieste@rockol.it</a> <br><br> Le email ricevute (se firmate) saranno pubblicate in coda alla notizia cui si riferiscono. </b>