Le accuse ci sono, chiare e circostanziate, riferite nero su bianco dall'edizione online del britannico Sun: per suonare allo stadio Olimpico di Roma, lo scorso 6 luglio, l'entourage dei Muse sarebbe stato costretto a versare delle tangenti a non meglio identificati esponenti dell'amministrazione locale. A dichiararlo non è un membro dell'organizzazione mosso da eventuali rancori personali, ma nientemente che il frontman del trio britannico, Matt Bellamy: "Dovunque tu vada sorgono inevitabilmente problemi", ha spiegato il cantante e polistrumentista, "Abbiamo impiegati e avvocati assunti esclusivamente per trattare con autorità locali, polizia e promoter. A Roma, per esempio, siamo stati costretti a versare migliaia di euro in tangenti solo per poter utilizzare gli elementi pirotecnici della coreografia". Della vicenda, sempre a detta di Bellamy, è stato informato anche il presidio britannico nella Capitale: "Abbiamo dovuto telefonare all'ambasciata inglese a Roma per parlare con i nostri funzionari. Portare uno spettacolo così in giro per il mondo è una cosa grossa, e dannatamente costosa, per giunta. Tanto costosa che non avete idea, oggi più che mai". Vivo Concerti, il promoter italiano della band, ha affidato la replica ad un breve comunicato ufficiale: "Rispetto a quanto riportato da vari organi di stampa, la licenza è stata concessa dalle autorità competenti dopo le opportune verifiche che hanno dimostrato che tutto era sicuro e regolare e dopo aver puntualmente messo in atto ed ottemperato ad ogni disposizione di sicurezza e accorgimento tecnico richiestoci, come è successo in tutte le altre città", si legge nella nota diffusa dalla società di live promoting. "Credo che i cantanti dovrebbero cantare", ha invece commentato Claudio Trotta, patron di Barley Arts da oltre trent'anni tra i principali attori sul panorama italiano della promozione live: "A me, francamente, sembra un'enorme stronzata. Le sue sono dichiarazioni sconcertanti: se sa qualcosa, faccia come farebbe qualsiasi comune mortale e denunci il tutto alle autorità competenti, facendo nomi e cognomi. Successe una cosa del genere diversi anni fa, quando il compianto Michael Hutchence fece una sparata del genere ("Quando siamo venuti a suonare a Milano la mafia interferì nei nostri affari", ebbe a dire lo scomparso leader degli INXS, "E' frequente in Italia: ce l' hanno raccontato anche altri artisti. E loro come noi hanno considerato l'ipotesi di non venire più in concerto"), e anche allora la trovai una cazzata sparata a caso nel mucchio. Gli organizzatori italiani, lo posso dire con l'esperienza accumulata nei tanti anni passati a organizzare concerti e con il distacco dovuto al fatto che non sia io il promoter italiano dei Muse, sono tra i migliori al mondo e non hanno bisogno di lezioni da nessuno. E, soprattutto, noi italiani, sia come pubblico che come addetti ai lavori, non ci meritiamo questo".