La violazione di un’ordinanza del tribunale che, lo scorso ottobre (vedi News), gli aveva intimato la cessazione immediata di ogni attività di “file sharing” non autorizzato in rete, è costata cara (ma non troppo) a Johnny Deep, fondatore e gestore del servizio-clone di Napster. Il giudice Marvin Aspen di Chicago, lo stesso che aveva emanato l’ingiunzione, ha condannato lui e le due società nate per gestire Madster, Above Peer Inc. e BuddyUSA Inc., al pagamento di quasi 109 mila dollari tra multe e risarcimenti delle spese legali sostenute dalle case discografiche. L’entità della sanzione, 5 mila dollari, è nettamente inferiore a quanto richiesto dall’industria musicale, 51 mila dollari: “Ma Madster ha già pagato un prezzo alto con le precedenti ordinanze che hanno disposto la chiusura del servizio” ha spiegato il giudice Aspen nella motivazione della sentenza, ricordando anche che sul piatto della bilancia ha pesato anche la posizione di potere, di prestigio e di influenza di cui i ricorrenti – le major discografiche - godono sul mercato musicale. <br> La Recording Industry Association of America (RIAA), tramite i suoi portavoce, ha espresso comunque soddisfazione per le decisioni del giudice. Mentre Deep, che contro la stessa ingiunzione aveva presentato un appello tuttora pendente in giudizio, ha lodato la clemenza di Aspen richiamando l’attenzione sui costi della battaglia sostenuta dalle case discografiche: “Il vero succo della storia”, ha detto il fondatore di Madster (noto un tempo come Aimster), “è la quantità di denaro che l’industria sta continuando a spendere in avvocati: soldi che, in fin dei conti, vengono sottratti agli artisti”. Ma che l’industria discografica ritiene evidentemente ben spesi, se si tratta di difendere in tribunale i suoi interessi e diritti contro i “pirati” informatici.